[chitarra] Stanley Jordan
[cd] Mack Avenue - Mac 1040
Stanley Jordan è un fuori classe per aver dato una spinta decisiva alla tecnica dell’Hammering-on (letteralmente martellamento), che implica l’uso di entrambe le mani sul manico della chitarra e conseguentemente impressiona il pubblico. Ma rispetto ai precedenti di tale tecnica (tradizione che va da Jimi Hendrix a Roy Buchanam), lui è riuscito a trasformare l’espediente in elemento propulsore unico nel suo genere. L’uso percussivo della destra sulle sei corde unitamente alla conoscenza del pianoforte, strumento che maneggia altrettanto abilmente, mette in condizione Jordan di usare i due strumenti simultaneamente, senza il ricorso alla sovraincisione, impiegando cioè semplicemente ciascuna mano per ciascuno strumento. La caratteristica può sembrare stravagante. Ma occorre considerare che Jordan non è mai stato propenso al chitarrismo tradizione. è infatti il 1975 quando l’allora sedicenne Stanley riprende senza saperlo le idee che il chitarrista Jimmy Webster aveva dimostrato esponendole in un testo intitolato The Touch System. Deciso a seguire quel percorso, studia all’università di Princetown teoria e composizione. Poi la gavetta suonando per la strada o in piccoli club di Chicago (la sua città) e Madison. Approda a Manhattan nel 1983, dove riesce a farsi notare dal gotha del jazz, che lo consiglia e lo spinge a continuare. È un’audizione a decidere il suo destino: diventa supporter di Wynton Marsalis per il New York Jazz Festival del 1984. Poi Montreaux, una scrittura al Village Vanguard e un disco (per la verità il secondo a suo nome), ma il fatto decisivo è che si tratta di incidere per la Blue note in occasione della rinascita della gloriosa etichetta. Stanley Jordan passa alla storia per il virtuosismo e la dimensione orchestrale che sa dare (grazie al Touch System di cui dicevamo) alle sei corde. è l’indipendenza delle mani che gli consente di approntare un accompagnamento del tutto singolare riuscendo a dare l’impressione che stiano suonando contemporaneamente più chitarre. Purtroppo però il pregio di Jordan finisce qui, nel suo singolare virtuosismo. E State of Nature non riesce ad andare oltre questa dimostrazione tecnica. Perché le sonorità sono datate, l’insieme sonoro piuttosto disarticolato. E anche la ritmica lascia a desiderare, preferendo l’accentazione ritardata a quella in anticipo.
Alessandro Traverso