Stravinskij Le Sacre du Printemps L’oiseau de feu

direttore Klaus Mäkelä
orchestra de Paris
cd Decca 4853946

Esempio paradigmatico d’interpretazione che sembra fatta apposta per dividere in accesi dibattiti più che per accomunare nel plauso che pur meriterebbe ampiamente la perfezione esecutiva. Da sempre il Sacre è sinonimo di ritmo furioso, di evocazione barbarica, di scontri ruggenti a ricordo dei due dinosauri che si sfidano in Fantasia di Disney.
Mäkelä (ventisette anni, direttore stabile delle orchestre di Oslo e Parigi, già all’attivo un’integrale discografica di Sibelius per la Decca, al debutto newyorkese paragonato dal “New York Times” a quello di Bernstein) sta all’incirca all’opposto. Gli ottoni ruggiscono ma in secondo piano; i ritmi sono calibratissimi e mai percussivi; la tersa limpidezza prevale di gran lunga sulla cupa densità materica, così come la morbida, sensualissima sinuosità delle linee la vince sull’addensarsi dei macignosi blocchi sonori; e i colori, solo fuggevolmente
ricordano quelli del robusto fauvismo contemporaneo nel loro favorire piuttosto la ricchezza delle nuances e dei chiaroscuri. Mi ricordo benissimo il pollice verso di pressoché tutta la critica a fronte del Sacre quasi acquarellato nella sua ricchissima tavolozza diretto da Karajan, che dava sui nervi a quanti ritenevano Boulez quale assoluto e unico riferimento: oggi, analoga contrapposizione potrebbe essere Mäkelä a fronte di Salonen, Chailly, Gergiev.
Ma il tempo ha reso, almeno per me, ampia giustizia ai fascinosi paradisi sonori di Karajan, rivelatisi assai più moderni e suggestivi, sicché quest’incisione che sottolinea ovunque
l’essere il Sacre concepito dopotutto come un balletto, che mette la sordina alla forza bruta per sottolineare piuttosto, con le infinite pulsioni dinamiche (sentire come vengono resi
i glissando dei tromboni in Rondes printanières; o come si succedono le trombe nella Dans de la terre), l’intrico dei piani contrastanti: il Sacre come paradiso sonoro, lo trovo d’intensa suggestione. Un paradiso che sembra concepito quale perfetto pendant per l’Uccello di fuoco, facendoci riflettere che forse, forse i due balletti non stanno proprio su due pianeti diversi, ma su due paradisi contigui. Mi convince.
Elvio Giudici


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