interpreti C. Gasdia, P. Dvorski, G. Zancanaro firettore Carlos Kleiber orchestra e Coro Maggio Musicale Fiorentino 2 cd Historical Maggio Live 004 prezzo 17
In anni non vicinissimi ma neppur remoti ebbi l’occasione di ascoltare Carlos Kleiber due volte in Traviata: a Firenze nel 1984 (la stessa che adesso mi ritrovo a recensire in questo “live”) e qualche anno più tardi a Monaco di Baviera, con cast e regia tutti diversi. Nel primo come nel secondo caso una cosa fu indubbia: quelle erano le Traviate di Kleiber, un segnale di personalità eslege che dà impronta infungibile quale che sia la qualità e il grado di collaborazione di interpreti vocali e regia. E a tal punto devo confessare che capii (o mi parve di capire) il tipo d’approccio del direttore al capolavoro meglio nella recita tedesca che non in questa, pur ricchissima di particolari memorandi. Perché? Perché a Monaco, non più impacciato dalla regia zeffirelliana di Firenze che era il precipuo inciampo a una concezione intima e dolente dell’opera, Kleiber ebbe maggior agio di imporre quel punto di vista personale che circoscriveva la vicenda della mantenuta illustre entro i cardini di un disperato solipsismo. La febbrilità dei tempi è magica nelle scene di festa del primo atto e della seconda parte del secondo, quasi a farne la proiezione segreta di una interiore tormentosità negata al peccato; ma laddove l’orchestra imprende a ritrarre la solitudine di Violetta essa diviene trasparente e lievissima: un ritratto di macerazione che culmina nei funebri accordi del finale e di cui occorre dar atto all’ottima compagine del Maggio. Fuor che nel caso del tenore Peter Dvorski, un Alfredo di colore piuttosto bello ma di manovra tecnica grossolana sì da far smarrire gli accenti di elegia del ricordo insiti, ad esempio, nel “Parigi o cara”, il resto del cast funziona, con qualche merito specifico in più nel caso del Germont padre di Giorgio Zancanaro, bravo a sottolineare quel tratto di ipocrita nobiltà che la parte esige. Cecilia Gasdia è Violetta: all’epoca ella era solo ventiquattrenne e si portava dietro il peso di una fragilità sconfinante nell’innocenza, come la visione di Kleiber esigeva; le sfuggivano dunque gli empiti di follia e le pulsioni di carnalità che il primo atto pretende, ma la linea di canto era correttissima nel disbrigo delle colorature e calibrata al millimetro nel canto soave. A quell’età sarebbe stato difficile far di più; e nell’intero atto III il suo continuo mormorare quasi a mezza bocca le proprie frasi estenuate dalla coscienza di una precaria fisicità colpiscono nel segno. Una protagonista forse priva del marchio dell’unicità, anche se davvero all’altezza; ma, come prima dicevo, questa era pur sempre “la Traviata” di Kleiber figlio.
Aldo Nicastro