interpreti O. Zhuravel, N. Isherwood, M. T. Panuccio, Z. Markovadirettore Philip Walshregia Pier Luigi Pizziteatro ComunaleBOLOGNA
BOLOGNA – Ispirata alla vita di Margaret Sweeny, la duchessa che dichiarò di “andare a letto presto e spesso”, Powder her Face gode di un privilegio raro per le novità: quello di entrare in repertorio. Dal 1995, anno della sua “creazione”, l’opera non è più uscita dal circuito teatrale. Adès ha confezionato un prodotto tipicamente inglese. Primo comandamento: il primato – da Shakespeare in poi – della dimensione teatrale.
Nel continente avremmo storto il naso di fronte a questa miscela esplosiva che frulla insieme il cabaret graffiante, i sensuali toni da musical, lo sperimentalismo d’avanguardia, le memorie operistiche. Ma lì la querelle sul linguaggio passa in secondo piano. Semplicemente si va a teatro.
Nel frattempo l’opera scandalosa, la prima per intenderci che prevede un blowjob cantato a bocca chiusa, ha varcato i confini britannici. Ed è normale che qualcosa sia andato perso (le numerose allusioni e citazioni del libretto, tutte very english). Eppure l’ingranaggio funziona lo stesso. Forse proprio in virtù di quella lingua musicale cosmopolita. Pizzi, al Comunale di Bologna, ne ha fatto una specie di commedia sofisticata con tocchi surreali, prescindendo dalla vena satirica e noir. Stessi ambienti rosa vivo kitsch per il presente della duchessa e per le sei scene centrali dei suoi ricordi: alla fine oggi è sola com’era ieri. Assecondando al contempo la radice cabaret (con quattro personaggi intercambiabili) più che quella cinematografica, scandita dai ricordi in “dissolvenza” (la realizza David Alden in un video diretto dallo stesso autore). D’altra parte la dimensione onirica è recuperata da alcune invenzioni: come quando nell’interludio che rievoca il matrimonio, si vede la duchessa andare anche col prete. E poi il prete col marito.
All’equilibrio perfetto tra canto, declamato e parlato (scuola Britten) Adès aggiunge una vivace caratterizzazione: la protagonista, un soprano drammatico con accenti lirici tra Berg e Strauss, è Olga Zhuravel: peso minimo, per quanto scenicamente perfetta; la cameriera (amante, confidente e giornalista), un soprano leggero che ricorda Lulu e con un’aria di coloratura “eroica” che cita forse Le grand macabre, è la bravissima e spigliata Zuzana Markova. La debolezza del basso Nicholas Isherwood, rispetto alla prestanza vocale e attoriale del tenore (Mark T. Panuccio), causa però ulteriori problemi di equilibrio nei concertati. Unico neo per la giusta “dizione” strumentale ottenuta da Philip Walsh. Dove l’eccentrica pattuglia di percussioni (c’è anche una palla di legno che colpisce una scatola) ritaglia una scarna teoria di ostinati “d’avanguardia”, come una punteggiatura perenne su cui archi, pianoforte, clarinetti, ottoni, arpa e fisarmonica compongono le loro evoluzioni, ora swingate ora perfide. E che Walsh ricompone in un insieme che scorre fluente, ma non indifferente alla scena.
Andrea Estero
Andrea Estero