Aldeburgh Festival
“1913–2013: Britten lives here”: così recitavano i manifesti e gli striscioni sparsi ad Aldeburgh, a Snape Maltings e nei dintorni. E davvero palpabile, viva, era la sensazione che il lascito musicale e umano di Benjamin Britten fosse più che mai presente nel suo rinnovarsi in questa edizione del centenario (sessantaseiesima del Festival). In sintesi, una straordinaria unione di arte e natura, viste le straordinarie bellezze naturali di quella parte di Suffolk più costiero, dove i colori del mare si fondono con i ciottoli delle sterminate spiagge; e superate le case dei pescatori di Aldeburgh e qualche negozietto, ecco il verde vivido dei campi e dei boschi, interrotto solo da qualche borbottante corso d’acqua, che ci accompagna verso Snape Maltings e la sua sala da concerto dall’acustica semplicemente perfetta. Il responso del pubblico non poteva essere migliore: un sostanziale sold out per tutti gli appuntamenti. In un solo fine settimana erano molti gli eventi musicali imperdibili: su tutti, John Eliot Gardiner e i suoi complessi del “Monteverdi” per un doppio appuntamento nel nome di Bach, con una selezione di cantate (tra cui la BWV 4) e concerti per violino (peccato per i solisti non all’altezza) e la Johannes-Passion, con un Mark Padmore in stato di grazia nel ruolo dell’Evangelista. Il livello di introspezione tanto musicale quanto psicologico raggiunto da Gardiner (che ha diretto a memoria entrambe le serate), ha dell’incredibile giacchè unisce un magistero esegetico ad un purissimo godimento all’ascolto. Gardiner tra l’altro è fresco di nomina alla presidenza della Bach Archive Foundation di Lipsia (dal gennaio 2014).
L’altra “chicca” era costituita dal “Grimes on the beach”, e cioè dalla scommessa mai tentata prima di allestire una serie di performance del Peter Grimes sulla stessa spiaggia dove si svolge la vicenda. E così, con i colori del tramonto, lo sciabordio delle onde e il chiassoso richiamo dei gabbiani, in una sinestesia irripetibile, ecco le note (orchestra pre-registrata in concerto dal vivo la settimana prima e diffusa tramite altoparlanti) degli interludi marini come nascere dallo stesso mare che le ha ispirate, ecco le barche dei pescatori tirate a riva dai marinai sotto lo sguardo delle loro mogli, ecco i protagonisti della vicenda camminare su e giù per la spiaggia, e davanti a loro, in un silenzio rapito, centinaia di spettatori seduti sui ciottoli o sui seggiolini delle gradinate. Scommessa dunque ampiamente vinta.
Ma non è tutto: negli stessi giorni abbiamo assistito a un’impeccabile incursione nella contemporaneità – o quasi: Kontakte di Stockhausen con Pierre Laurent-Aimard (direttore artistico del Festival, primo non inglese in tale ruolo) al pianoforte e l’elettronica d’eccezione curata da Marco Stroppa. E poi un récital del Quatuor Mosaiques, da Purcell a Haydn a Schubert, e una masterclass pubblica (e affollatissima) di Ian Bostridge: “Britten Songs”, insieme al fido Julius Drake, alle prese con giovani promesse provenienti da ogni parte del mondo.
Merita un cenno, infine, l’atmosfera estremamente informale che si respirava, insolita in blasonati festival internazionali di pari livello.
Andrea Ottonello