Beethoven – Fidelio

Interpreti Ausrine Stundyte, M. Hemm, E. Nikitin, E.W. Schulte, B. Fritz
Direttore Zubin Mehta
Regia Pier’Alli
Teatro dell’Opera
FIRENZE

fidelio 2FIRENZE – Dopo un’inaugurazione dimidiata, con un Fidelio semiscenico in seguito a uno sciopero sindacale, finalmente il 78° Maggio Fiorentino ha presentato “al completo” l’edizione che Pier’Alli ha firmato nel 2006 per il Palau de les Arts di Valencia. Uno spettacolo di straordinaria suggestione tutto giocato sui colori bruni e grigio piombo cari al regista (scenografo, costumista) fiorentino e pensato – in perfetta sintonia con l’idea portante dell’opera beethoveniana – come un divenire visivo oltre che drammatico: da un’ambientazione e da una gestualità di tipo borghese dei primi quadri, in cui dominano i toni leggeri di Marzelline e Jaquino (nonostante gli strumenti di tortura a far mostra di sé sulla scena), con un pizzico di grottesco per la marcia dei soldati, quasi rigide marionette, all’invadenza dello sfondo scandito da lunghe feritoie da cui emergono (finale atto I) le agghiaccianti figurazioni dei prigionieri, dolenti ombre  fantasmatiche che con movimenti ondeggianti,  in vesti lacere, cantano quasi in estasi il meraviglioso inno alla luce simbolo di libertà. Ma l’inventiva di Pier’Alli ha raggiunto esiti ancora più suggestivi nel II atto, a cominciare dall’introduzione sinfonica all’aria di Florestan: qui, il pubblico è stato condotto – con un sapiente impiego di oscure proiezioni – in un angosciante tunnel in movimento che mostra corde, catene, ganci, ruote e altri mezzi di tortura, fino a giungere a un carcere avvolto in una terribile caligine che appena lascia intravedere il corpo incatenato dell’eroe. E quando fuori scena si ode la fanfara liberatoria che annuncia l’arrivo di Don Fernando, il terribile cammino visivo  viene ripercorso rapidamente à rebours, suggerendo il senso della dissoluzione del Negativo e l‘aprirsi alla festosa conclusione, dominata da nuvole colorate e dagli abbracci tra i “fratelli” che si ritrovano nella luce, liberati dalla tirannia grazie al buon Governatore. Se il coro e l’orchestra del Maggio hanno dato prestazioni al più alto livello, la compagnia di cantonon è stata da meno, nel suo splendido equilibrio; con il Rocco di Manfred Hemm, il Pizarro di Evgeny Nikitin, il Don Fernando di Eike Wilm Schulte, tutti di vigorosa vocalità ma nobilmente composta, senza eccessi, e la coppia Marzelline-Jaquino (Anna Virovlansky e Karl Michael Ebner) di mozartiana eleganza e musicalità.  Statura di autentica protagonista Ausrine Stundyte, che ha dato di Leonore una convincente raffigurazione tendente all’eroico, con un mezzo vocale sicuro, pieno di slancio, anche se non di qualità bellissima, tendente al tagliente nel registro acuto; mentre il tenore Burkhard Fritz ha saputo alternare momenti di desolante commozione  e di lirismo visionario (nella sua grande aria al II atto) con puntature di vigoria eroica, nel segno dell’indimenticabile Vickers.
Fidelio Maggio fiorentinoDi fronte, ancora una volta, alla partitura di Fidelio, Zubin Mehta – magistrale nel rapporto con il cast, l’orchestra, le masse corali – ne ha data una lettura forse un po’ diversa dal passato,  in cui il registro epico della tradizione germanica, il “grido” di esultanza verso la libertà,  è temperato in direzione di un gusto analitico, di ricerca di sonorità più morbide e raccolte  e di tempi più distesi. Accolta con straordinario calore da un pubblico che ama moltissimo Mehta, l’esecuzione della Leonora n. 3, inserita – secondo una tradizione ottocentesca – come entr’acte prima della scena finale. Successo calorosissimo, anche all’inaugurazione.
Cesare Orselli


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