Beethoven – Liszt – Sonate per pianoforte – Sinfonie

CASALE MONFERRATO 

[pianoforte] Giovanni Bellucci
[teatro] Municipale

La covava da tempo, Giovanni Bellucci, questa integrale beethoveniana allargata: Sonate originali insieme a Sinfonie in trascrizione lisztiana. E ora che il temerario cimento ha preso il via anche in sede concertistica, quando i cd usciti sono già tre, non v’è più dubbio sulla bontà del progetto – finora mai realizzato, almeno in Italia -, che si dispiegherà in un triennio con una quindicina di appuntamenti. Il varo è avvenuto a Casale Monferrato in uno dei più antichi teatri all’italiana che il Piemonte ancora conservi, pochi giorni prima che l’omologa serie s’avviasse anche a Roma a Villa Medici. Per una volta dunque provincia batte metropoli e già questo merita un plauso al pianista romano.
L’osmosi fra sonata e sinfonia è già forte in Mozart e Haydn, figurarsi in Beethoven. E fu Liszt a intuirlo per primo. Dall’una all’altra cambiano i volumi, le proporzioni, ma il materiale, i “contenuti” restano gli stessi. Di questo assunto davano prova i brani in programma – Sonate Al chiaro di luna e Appassionata e Quinta Sinfonia – raccolti intorno al tema del destino, inteso non tanto come elemento sovrastrutturale, bensì nella sua natura concreta di cellula ritmica generatrice che tutto pervade. Mai s’è ascoltato l’Adagio celeberrimo investito di tanta funerea rassegnazione. All’altra estremità del concerto invece un’estroversione esaltata ed orgiastica innervava l’Allegro della Quinta delineando così un cammino etico che dalla notte dell’anima conduce alla luce abbacinante di una ritrovata fiducia nella vita. Idealmente nel mezzo stava il tempo centrale dell’opus 57, condotto con atarassico distacco. La storia del ciclo Beethoven-Liszt può dirsi appena nata. Qualche cenno esplicativo da parte dell’interprete nel raccordare questo all’altro più frequentato ciclo, è finanche benvenuta. Tuttavia 75 minuti di parlato, pur condotti con rara apertura intellettuale passando da Nostradamus a Roland Barthes, a fronte di un’ora e un quarto di musica suonata, non trovano ragionevole giustificazione. Anzi nuocciono in definitiva all’interprete cui spetta in primis il compito di trasfondere alchemicamente idee e concetti in puro suono. Ma siamo soltanto al primo atto di una titanica impresa e s’immagina la formula troverà nel seguito i giusti equilibri.

Simone Monge


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306 Novembre 2024
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