Britten – Sogno di una notte di mezz’estate

Britten - Sogno di una notte di mezz’estate

MILANO
interpreti D. Daniels, R. Joshua, E,
Wolk
direttore Andrew Davis
regia Robert Carsen
teatro alla Scala


Un’ormai datata produzione come quella di A Midsummer Night’s Dream con la regia di Robert Carsen arriva alla Scala in conseguenza di due limitazioni incontrovertibili. La prima è che non ci si può permettere un cartellone di sole nuove produzioni; la seconda è che gli allestimenti che la Scala s’è fatta da sé negli anni passati sono già obsoleti, come ha dimostrato la ripresa dei Due Foscari e come si teme dimostrerà l’ammuffito Rigoletto destinato a tornare l’anno prossimo. Meglio dunque un vecchio allestimento come questo che Carsen apparecchiò nel 1991 a Aix en Provence: 18 anni sul groppone ma ancora piacevolissimo. Non il migliore degli allestimenti possibili, sia beninteso, perché dell’opera di Benjamin Britten sono sviluppati i tratti comici, erotici e fiabeschi ma del tutto trascurati quelli onirici, notturni, immaginifici. In questo Sogno si sogna, ci si ama, ci si trova e ci si lascia su letti di ogni tipo, quello che occupa tutta le scena nel primo atto, quelli a due/tre piazze che calano dall’alto, i lettini da cameretta; soffici e peccaminosi i morbidi cuscini, le coperte sono d’un verde tipo prato d’Irlanda, la recitazione un po’ da teatro ragazzi un po’ da circo, col funambolico Puck che si muove come un acrobata. Lune d’ogni forma e colore fan capolino sulla scena, lune da scarabocchio infantile, lune simpatiche. A dirlo così il tutto sembra un po’ astruso, ma è spettacolo coerente, lucido, molto british, pieno di poesia e si accorda a ogni piega della dottissima partitura di Britten. Una musica che sfiora, che allude, che ricorda, che sintetizza, che esibisce artigianato d’altissimo magistero. Una musica difficile, invero, per quanto arrivi come carezza gentile.
Ma Andrew Davis la conosce e la domina. Sotto la sua guida sembra che gli scaligeri la suonino tutti i giorni. Invece l’esecuzione ha alle spalle un serio lavoro di concertazione, con l’orchestra ma anche con i cantanti e con lo strepitoso coro delle voci bianche della Scala diretto da Alfonso Caiani (e prima di lui da Bruno Casoni), cui si deve un plauso particolare. Il Sogno non lo si è mai fatto molto in Italia. Quando lo si è fatto, si sono scritturate formazioni ad hoc come i Tölzer Knabenchor, quelli che appaiono puntuali ad ogni Flauto magico. Non alla Scala, la cui diversa statura rispetto ad ogni altro teatro d’opera italiano si basa anche su dettagli di questo tipo. Cast esemplare. Oberon ha la voce agile e sensibile di David Daniels, Tytania il fascino e l’eleganza di Rosemary Joshua, Puck la grinta di Emil Wolk. E poi il quartetto degli amanti è ben assortito con Gordon Gietz (Lysander), Deanne Meek (Hermia), David Adam Moore (Demetrius) ed Erin Wall (Helena), così come il Theseus di Daniel Okulitch e l’Hippolyta di Natasha Petrinskij, per non dire dell’ensemble di attori che danno vita all’improbabile recita di Pyramus and Thisby. Non a caso le recite sono andate guadagnando pubblico di serata in serata.
Una bella opera, Sogno di Britten. Ma un unicum, che non segue modelli precedenti (nemmeno nel catalogo dello stesso Britten) né ne detta di nuovi. Resta lì, nella sua perfezione stilistica e formale: estranea sia ai dettami dell’Avanguardia, che l’ha ignorata, sia alle rivendicazioni dei restauratori, che l’hanno incensata a sproposito
Enrico Girardi


Prodotti consigliati
309 Febbraio 2025
Classic Voice