VENEZIA
[interpreti] S. Bergamasco[direttore] Stefano Cardi[ensemble] Freon[festival] Biennale musica
Gli “Italics” sbarcano a Venezia. Nella mostra che Francesco Bonami ha ideato per Palazzo Grassi. E alla nuova Biennale diretta da Luca Francesconi. Una generazione un tempo marginale, che ora richiede la ribalta (in qualche caso l’ha già ottenuta). Nell’arte e nella musica: dai Cattelan e Romitelli (scomparso nel 2004), ai più anziani Boetti e D’Andrea. Con quest’ultimo il jazz, ovvero quello che Francesconi chiama civiltà “orale”, è a tutti gli effetti parte della contemporeneità. Bella l’idea di “radici futuro”, com’è stata chiamata quest’anno la sezione musica. Le radici sono i “classici” dell’avanguardia, che ascoltiamo con l’ammirazione che si riserva ai capolavori di un museo. Il domani sembra invece riservarci una maggiore predisposizione ad ascoltare i linguaggi “altri”, pur sottoponendoli alle domande tipiche di una creatività alta e forte. Così accanto ai bastioni dello spettralismo francese di Grisey e Dufourt, Périodes (1974) e Hommage à Charles Nègre (1986), si ascoltano uno swingato Entrelacs (1998) del francese Yan Maresz, un Lost (1997) di Romitelli diviso tra sonorità ardite e vocalità pop, un Rovescio del sublime (2004) di Stefano Bulfon, tutti ben diretti da Andrea Pestalozza alla guida dell’Ensemble Unitedberlin. Nella stessa prospettiva si muove Mauro Cardi con l’opera da camera Oggetto d’amore, con voce recitante (la camaleontica Sonia Bergamasco) ed ensemble ad alta rievocazione “leggera” (tromba, percussioni, chitarra elettrica, contrabbasso). Solo che il verbosissimo testo di Pasquale Panella (paroliere dell’ultimo Battisti), accompagnato da proiezioni video ancora più ingombranti, satura la scena impedendo alle suggestioni “giovani” di respirare. Di strutturarsi. E diventare grandi.
Andrea Estero