BRUXELLES
[interpreti] N. Michael, K. Streit, E. Gubanova, P. Rouillon, V. Pochon
[direttore] Christophe Rousset
[regia] Krzysztof Warlikowski
[Teatro] La Monnaie
Finalmente un allestimento di Médée all’altezza della fama di questo capolavoro di Cherubini, uno spettacolo che non esiterei a collocare tra i migliori della stagione in tutta Europa e che rivela in modo indiscutibile anche in ambito musicale le qualità di un regista già affermatissimo nella prosa, il polacco Krzysztof Warlikowski. Da più di mezzo secolo, da quando Medea divenne una delle interpretazioni mitiche della Callas, si continua a rappresentarla in italiano o comunque con i recitativi di Franz Lachner del 1854 (da ricordare tuttavia la rappresentazione in francese con i parlati del Festival di Martina Franca nel 1995). A Bruxelles si tornava all’originale, con qualche accettabilissimo ritocco nella lingua dei parlati. Christophe Rousset dirigeva il suo ottimo gruppo, i Talents Lyriques, e il fuoco drammatico che caratterizza il sinfonismo di Cherubini era esaltato con straordinaria energia ed intensità, con una violenza incandescente e tuttavia priva di forzature stilistiche, capace di coesistere con naturalezza con le zone di ispirazione più lirica e composta. Eccellenti gli interpreti vocali, persuasivi vocalmente e teatralmente grazie anche alla collaborazione con il regista Warlikowski. Di suo avevo visto soltanto una Iphigénie en Tauride di Gluck all’Opéra di Parigi, interessante e discutibile, ambientata nello squallore di una casa di riposo dove una Ifigenia ormai decrepita vive con altre vecchiette. Si rappresentavano i suoi ricordi, e la si vedeva sdoppiata in una giovane cantante vestita di rosso e in una vecchia attrice, con i due piani continuamente sovrapposti e intrecciati, talvolta in modo imbarazzante (Ifigenia, per esempio, è costretta a celebrare il rito funebre alla fine del secondo atto sedendo in mezzo alle vecchiette che stanno cenando). Nel caso di Médée l’attualità del mito è così evidente e coinvolgente che Warlikowski non ha sentito il bisogno di trasposizioni così ardite e discutibili: si è limitato ad usare abiti moderni, a identificare Corinto in un villaggio polacco nella festa di nozze, e a fare qualche pertinente riferimento a Pasolini. Lo spazio scenico, definito in modo semplice, atemporale e quasi astratto, con poche immagini fortemente evocative, è usato in modo magistrale, anche grazie alle luci e a sipari specchianti o trasparenti, e la recitazione di tutti è di straordinaria intensità, in primo luogo quella della bravissima protagonista, Nadja Michael. Accanto a lei si apprezzano molto Kurt Streit (Giasone), Virginie Pochon (Dircé), Ekaterina Gubanova (Néris) e tutti gli altri, insieme con il coro della Monnaie. La tragedia della straniera, sradicata e respinta, è rappresentata con lacerante evidenza.
Paolo Petazzi