Festival MiTo – Settembre musica

Festival MiTo - Settembre musica

Concerti di Daniele Gatti, Esa-Pekka Salonen, Jordi Savall, danze dall'isola di Bali, English Chamber Orchestra, Orchestra sinfonica nazionale della Rai

MILANO/TORINO Il direttore d’orchestra è necessario? A MiTo è capitato di rispondere con plastica evidenza. Quando per un’improvvisa e grave indisposizione, l’English Chamber Orchestra ha dovuto rinunciare a sir Colin Davis e se l’è dovuta cavare con la direzione del primo violino. Mancava, nell’Incompiuta di Schubert e nel Mendelssohn eseguiti come da programma, l’equilibrio delle parti e il “passo” narrativo, oltre che ogni orientamento d’interpretazione. Eppure i cameristi inglesi quei due brani li avranno eseguiti insieme a Sir Davis chissà quante altre volte. All’altro capo c’è invece il concerto al Lingotto di Torino dominato dal carisma di Esa-Pekka Salonen con la “sua” Philharmonia, l’orchestra che dopo una parentesi grigia, si sta rivelando, per progettualità ed esiti, ai vertici del panorama sinfonico internazionale. A Bonn ha presentato l’integrale delle Sinfonie di Beethoven accompagnate da cinque nuove commissioni, una per continente, offrendone singole porzioni in diverse città del mondo. Salonen vede la “Pastorale” come primo, visionario, tentativo di superare le forme classiche in senso poematico. Già prima della Nona. Così quell’inedito modo di confluire degli ultimi movimenti l’uno sull’altro senza interruzioni si traduce in un passo tutto proteso in avanti: un tripudio di suoni e articolazioni strumentali sostenute da un’energia perenne che non concede spazio a respiri, incanti e meraviglie. L’idillio, volutamente, non arriva mai. E ugualmente irrefrenabile, da Bernstein redivivo, è la capacità di trascinare le strutture sinfoniche della Quarta in un unico arco che sembra non voler fermarsi neanche negli accordi conclusivi, sentiti “in levare”. Salonen è un trascinatore pure nella “wonderful town” di dissonanze e meccanismi ritmici che Joseph Phibbs (1974) si concede alla fine di Rivers to the sea, per altri versi segnata dall’ingenuo eclettismo delle “rose di mezzanotte”, dei mormorii notturni, dei sorgere del sole.

Per il resto il “brand” MiTo continua a funzionare. Sia quando progetta (le monografie su Pablo/Saariaho, l’attenzione su Debussy che s’intreccia con l’esotismo delle danze balinesi sul gamelan che da giovane lo aveva affascinato), sia là dove si limita a importare concerti precotti o ordinari, pure necessari per “far festa”. Il pubblico accorre, e scopre che l’anziano compositore spagnolo e la più giovane autrice finlandese, pur proveniendo da due mondi diversi, s’incontrano in un medesimo, riverberante, spazio poetico. Che per le sferzanti chiose del non credente Saramago alle ultime sette parole di Cristo in croce dette da Massimo Popolizio ci voleva un direttore più disponibile di Savall a reagire con gli impervi percorsi armonici degli Adagio di Haydn. Che Daniele Gatti si conferma un grande direttore sui diversi fronti operistici e sinfonici. Il suo Debussy/Ravel offerto dalla National de France (Images, Prélude, La Mer, Daphnis) ha sedotto la Scala coniugando attenzione per il sortilegio timbrico ormai da riscoprire in vitro e sensibilità per l’innervato racconto che lo supera, come nelle abbaglianti accensioni oniriche della Mer.
                                                           Andrea Estero
(pubblicata sul numero 161 d "Classic Voice", ottobre 2012)

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