TRENTO – La intelligente proposta di Quartett di Luca Francesconi a Trento nella stagione dell’Orchestra Haydn (dopo la prima italiana di Written on skin di Benjamin a Bolzano) è stata una nuova bellissima conferma del successo della prima alla Scala nel 2011 e dei numerosi allestimenti che sono seguiti. Il dramma di Heiner Müller, da cui il compositore stesso ha tratto il libretto (traducendolo in inglese e modificando la conclusione) è una geniale riscrittura-reinvenzione delle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos: la Marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont si dilaniano e distruggono recitando una commedia mortale, scambiandosi talvolta i ruoli o assumendo quelli delle loro vittime, la signora di Tourvel e Cécile Volanges (di qui il titolo “quartetto”), in un gioco di maschere e di specchi condotto con disperato nichilismo, con la volontà di negare ogni interiorità e di cancellare tutto ciò che non è ricerca del potere e del piacere come dominio sugli altri. Francesconi è andato oltre la dimensione chiusa e claustrofobica della mortale partita a due: la voce della natura, del mondo esterno, di tutto ciò che anche negli stessi protagonisti sfugge al controllo pseudorazionale, è incarnata da un’orchestra grande e dal coro invisibili (qui registrati, come in tutti gli allestimenti seguiti al primo), mentre un complesso di una ventina di musicisti sta in buca. Il dilagare del suono dei complessi invisibili, che spesso danno vita a fasce sonore piuttosto statiche, contrasta con la frenetica mobilità della scrittura del complesso in buca, che crea un rapporto nervoso e flessibilissimo con il mutare delle inflessioni vocali. La natura del gioco di maschere e specchi dei due interpreti porta il compositore a usare una grande, duttile varietà di vocaboli musicali e di comportamenti vocali, dalla tensione post-espressionista delle prime scene ai modi insinuanti delle scene di seduzione, per citare solo due esempi, sempre con coinvolgente evidenza espressiva. Orchestra invisibile e coro sono determinanti fra l’altro nel sospeso inizio e alla fine, che introduce una variante: le ultime parole del testo di Müller sono cantate, in tedesco, dal coro, mentre la Marchesa fa a pezzi la stanza-prigione, nel gelo attonito delle ultime pagine.
Nell’allestimento coprodotto con il Covent Garden di Londra e con l’Opéra di Rouen le scene e costumi di Soutra Gilmour evocano una situazione postapocalittica: i due protagonisti con abiti malconci e lacerati dialogano tra i relitti e le rovine di una catastrofe, e la regia di John Fulljames ne mostra efficacemente le tensioni e la disperazione. Dirige con nitida sicurezza Patrick Davin, Robin Adams è di nuovo un ottimo Valmont (lo stesso della prima) accanto alla bravissima Adrian Angelico.
Paolo Petazzi
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