[interpreti] Cecilia Bartoli [direttore] Adam Fischer [regia] Moshe Leiser- Patrice Caurier [orchestra] La Scintilla [teatro] Opernhaus
Il sipario si è finalmente alzato su Clari, opera dimenticata di Halévy, scritta pochi anni prima de La Juive. Diciamo subito che si tratta della partitura di un abile artigiano, più che di un originale innovatore: uno che conosce il mestiere e i segreti del belcanto, e si mette al servizio di cantanti mitici come la Malibran e Donzelli. Ed è proprio alla Malibran, a 200 anni dalla nascita, che si è voluto dedicare questo delizioso repêchage, la cui musica si ispira soprattutto a Rossini. Ai fuochi d’artificio pensa la Bartoli, che nel II atto interpola l’aria di Desdemona dall’Otello rossiniano e nel III sostituisce il perduto rondò finale con un’aria pirotecnica dello stesso Halévy, tratta da La tempesta: scelte giustificate e culmini della serata. Con un’operazione intelligente, gli artefici dello spettacolo, Leiser e Caurier, non solo hanno investito sulle qualità carismatiche della grande Cecilia, ma hanno anche disegnato uno spettacolo divertentissimo, collocando la fragile operina semi-seria nel presente e trasformandola nella gustosa parodia di un genere che a suo tempo fece furore, e della sempreverde fiaba della brava ragazza onesta e di povera famiglia, che dopo varie peripezie riesce a sposare il ricco principe azzurro (nella fattispecie individuato su internet!). Così rivisitato, il luogo comune si è rivelato un autentico spasso (strabiliante la Cecilia che si arrampica su un gigantesco King-Kong rosso alla fine del I atto), complice una compagnia affiatata e unita non tanto nella celebrazione della sua primadonna, quanto nel fare teatro insieme. La Bartoli è un fenomeno di comunicativa, fin dal suo ingresso, nelle vesti della ingenua montanara che un minuto prima mungeva le mucche in uno sperduto villaggio ed ora, grazie ad un provvido biglietto aereo, si trova catapultata nel mondo dorato e kitsch del Duca. E tutta da vedere è la pantomima del ritorno a casa della figlia delusa, che teme l’ira paterna, e la caricatura irresistibile della campagna e della famiglia di Clari (madre alcolizzata e padre ipnotizzato davanti alla televisione, con tanto di maiale domestico!), con un ritmo comico perfetto, in puro stile Lubitsch. Se certo regina della festa era la camaleontica Cecilia, di una bravura straordinaria nel cucirsi addosso una parte scritta per la Malibran e a suo agio sia nel comico che nel serio, l’esito positivo della serata lo si deve anche ad un meccanismo scenico compatto, e non solo al brillare solitario ed isolato di una sola stella. Con una menzione particolare per Osborn, un Duca vocalmente sopraffino e sicuro su tutta la gamma, e per l’impegno degli altri: la coppia dei genitori di Clari, Chausson-Kaluza, caratteristi consumati, la Bettina della Liebau, il Germano di Widmer. Concertazione frizzante e briosa di Adam Fischer, che ha trovato piena rispondenza nei versatili musicisti dell’orchestra La scintilla.
Giovanni Chiodi