FIRENZE
[interpreti] A. Damato, B. Moennsad, D. Solari
[direttore] Zubin Mehta
[regia] Saskia Boddeke
[vj e ideazione] Peter Greenaway
[voce recitante] Charlotte Rampling
[orchestra e coro] del Maggio Musicale Fiorentino
[teatro] Comunale
Sprofondati nel grande abbraccio dell’orchestra, Peter Greenaway e Charlotte Rampling si preparano a raccontare l’orrore dell’olocausto. In piedi su un palco a destra, il regista, davanti a uno schermo inclinato dal quale guidare la proiezione delle immagini che s’alzano sul fondale della scena. In piedi su un palco a sinistra l’attrice, con un lungo, ma leggero abito chiaro e i capelli biondi acconciati con pieghe sinuose come nei film degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. Quasi fosse la testimone dello sterminio, un’elegante signora borghese che non immagina quanto invece sarà costretta a vedere. Così, mentre il terribile testo del Sopravvissuto di Varsavia viene da lei scandito, e dal centro del palcoscenico, davanti all’orchestra, su un altro palco, Zubin Mehta dirige l’impervia, ma bellissima partitura di Schönberg, alle spalle dell’orchestra e dell’attrice balzano davanti agli occhi del pubblico le immagini proposte dall’ideatore e regista vj Greenaway. Di Saskia Boddeke l’ideazione e la regia, di Annette Mosk le installazioni visive, di Marrit van der Burgt i bei costumi. Il consueto, ma sempre sconvolgente, repertorio di figure ischeletrite, di vagoni merci carichi di gente ammassata, di cadaveri buttati come sacchi di terra su carrette sgangherate o fatti scivolare come carbone su macabri piani inclinati e scaraventati infine in una fossa. Tutto già visto, ma si resta ugualmente esterrefatti se si pensa che è potuto succedere davvero. In realtà succede ancora, in molte parti del mondo. E si vedono facce di africani, di arabi, di coreani, cambogiani, di bambini macilenti che piangono, in qualche angolo maledetto dell’”aiuola che ci fa tanto feroci”, come scrisse (sette secoli fa!) Dante, voltandosi indietro a guardare il nostro pianeta mentre ascendeva verso l’Empireo. Sì, succede ancora. È questo che ci dice Greenaway. La serata s’intitola Mai più, ma potrebbe chiamarsi invece Ancora. Il tutto dura poco meno di dieci minuti. Sembra che sia quanto resta di un progetto più ambizioso: affidare a Greenaway e alla Rampling, insieme a Mehta, la realizzazione di Giovanna d’Arco al rogo di Paul Claudel e Arthur Honneger, che vide Ida Rubinstein come protagonista alla creazione di Basilea nel 1938. Prima della pagina schoenberghiana Mehta ha diretto la Missa in tempore belli di Haydn (Adriana Damato, soprano; Bhawani Moennsad, mezzosoprano; Jörg Schneider, tenore; Dario Solari, basso) e la Sinfonia da Requiem di Britten. Quindi la serata è stata fondamentalmente un concerto. Interpretazioni intense e puntuali. Volendo, si potevano teatralizzare anche queste partiture. Peter Sellars lo ha fatto, anni fa, a Salisburgo con la Sinfonia di salmi di Stravinskij. Seguiva l’Oedipus Rex, e fu una serata straordinaria: Antigone raccontava la vicenda del padre e Ismene danzava al suo funerale. Il successo, comunque, a Firenze, è stato enorme. E come regalo al pubblico plaudente gli interpreti hanno ripetuto la pagina schönberghiana.
Dino Villatico