Vincitore del sessantaduesimo Concorso Busoni tenutosi nel 2019 (la sessione del 2020 non ha avuto luogo a causa del Covid), il bulgaro Emanuil Ivanov ha oggi 23 anni e sta attraversando uno dei periodi più faticosi per un giovane premiato dei nostri giorni, alle prese con il blocco delle attività concertistiche. Bene ha fatto il Teatro alla Scala a invitarlo per una ripresa in streaming che deve purtroppo fare i conti con la brevità del programma consentito dalle attuali normative. Se tutto dovesse andare per il verso giusto dovremmo riuscire a riascoltare Ivanov alla Società del Quartetto di Milano nel mese di maggio di quest’anno in un programma di consueta estensione.
Già durante le eliminatorie del “Busoni” Ivanov si era distinto per alcune scelte di repertorio relativamente controcorrente, così come piuttosto insolito è stato l’impaginato presentato l’altra sera, più consono a un recital specialistico che a uno di presentazione ex-novo delle proprie doti. Si sono ascoltati nell’ordine una Fantasia nach Johann Sebastian Bach di Ferruccio Busoni, Miroirs di Ravel e la quinta Sonata di Skrjabin, tutti lavori concepiti tra il 1904 e il 1909. Quanto basta per ribadire il carattere delle scelte e, alla prova dei fatti, per mostrare le caratteristiche di un pianismo prezioso e meditato. La Fantasia di Busoni, dedicata alla memoria del padre, pur non essendo stata inclusa dall’autore nel novero dei lavori con numero d’opera, è un saggio affascinante dell’amore viscerale del compositore nei confronti del grande Bach. Attraverso raffinati giochi di armonie e continui richiami alla forma del Corale, da Busoni coltivata anche nel novero delle famose sue “trascrizioni da camera” di molti originali bachiani, la Fantasia ha dato lo spunto a un pianista sensibile come Ivanov per illustrare il lato meno magniloquente del linguaggio busoniano, con una perfetta aderenza allo spirito della composizione. La lettura di Miroirs era parimenti da lodare per la notevole capacità nel dominare sia le complessità puramente tecniche – si poteva notare dallo streaming video la facilità con la quale il pianista risolveva passaggi di proverbiale difficoltà nell’Alborada del gracioso – che la variegata palette timbrica richiesta all’esecutore per la definizione di pagine coloristicamente mutiformi. Quello che però mancava a Ivanov era una certa grinta, la propensione al rischio che siamo abituati a considerare quando ascoltiamo certe interpretazioni rimaste famose, come ad esempio quella di Sviatoslav Richter. C’è in Ivanov, almeno per il momento, una certa dose di “educazione” che gli impedisce di affrontare una parte del repertorio in maniera più viscerale. E questa caratteristica si è fatta più evidente nel momento della sua esecuzione della quinta sonata di Skrjabin, forse quella dove appare più evidente una struttura che porta al raggiungimento di una sorta di estasi finale attraverso un meccanismo di continua accumulazione di tensioni. Non si può obiettivamente rimanere impassibili nell’eseguire e nell’ascoltare una pagina vulcanica come questa, e per quanto la sapienza pianistica di Ivanov sia riuscita anche in questo caso a produrre un risultato degno di nota, sono altri gli esempi con i quali tendiamo a confrontarci per la definizione di questo straordinario capolavoro.
Luca Chierici
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