Janácek – Da una casa di morti

PALERMO

[direttore] Gabriele Ferro
[regia] David Pountney
[teatro] Teatro Massimo
In Italia sta lentamente trovando una certa diffusione il teatro di Janácek, con esiti spesso di grande rilievo: l’allestimento palermitano  del suo ultimo capolavoro, Da una casa di morti (1927-28),  potrà forse essere ricordato come lo spettacolo migliore della stagione 2008 del Teatro Massimo, degno della eccezionalità di quest’opera “nera”, di terribile, dolorosa attualità, dove i “morti” sono uomini imprigionati in condizioni degradanti. Da una casa di morti, cui Janácek non poté apportare gli ultimi ritocchi, nacque dalla lettura delle Memorie da una casa morta di Dostoevskij, il libro sulle esperienze di quattro anni di lavori forzati in Siberia. Immergendosi in questo soggetto con dolorosa consapevolezza, Janácek ne ricava tre brevi atti dalla drammaturgia originalissima, senza protagonisti e senza una storia, ritagliando e ridisponendo liberamente situazioni e frammenti, e imperniando la “non vicenda” sull’arrivo di un prigioniero politico, su quattro racconti di forzati che ricordano come hanno perso la libertà e su due spettacoli allestiti e recitati dai reclusi. Il tutto è  concentrato in un conciso montaggio di violenta intensità espressiva, di natura quasi espressionistica. In Janácek è peculiare la ripetizione variata di brevi motivi, che produce anch’essa violenti accumuli di tensione. La vocalità è eccezionalmente sobria e spoglia, modellata sulla parola in inseparabile rapporto con l’orchestra. Il clima di cupa oppressione, di grigiore desolato è interrotto da lacerazioni dolorose, da accensioni incandescenti, da scoppi di violenza, con una tagliente tensione, che la direzione di Gabriele Ferro sottolineava con energia e consapevole sensibilità. La compagnia di canto in quest’opera non ha bisogno di individualità eccezionali, ed era tutta persuasiva insieme con l’ottimo Coro Filarmonico di Praga. Citiamo almeno il prigioniero politico Kay Stiefermann, e i protagonisti dei quattro racconti, Peter Straka, Pavlo Hunka, Stefan Margita, Alan Oke.
Decisiva a Palermo è parsa la qualità dell’allestimento, opportunamente ripreso dalla Welsh National Opera. A Aix Chéreau e Peduzzi avevano cercato nei limiti del possibile di creare movimento nella staticità della situazione. In direzione opposta (non meno legittima) il regista David Pountney e la scenografa Maria Björnson ponevano l’accento sulla angustia delle baracche in cui i detenuti vivevano, in condizioni disumane, come ricorda Dostoevskij: la scena è unica, i personaggi sono ammassati in uno spazio buio, disagevole e accidentato, in un edificio in rovina. Ognuno è ben individuato dalla intelligente regia; ma è determinante la soffocante impressione d’insieme. In questo contesto anche la forzata allegria stracciona delle farsesche rappresentazioni teatrali dei reclusi aveva grande efficacia.
Paolo Petazzi

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306 Novembre 2024
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