Chopin Studi op. 25 Albeniz Iberia, libro III Stravinskij Trois mouvements de Petruska pianoforte Beatrice Rana sala Conservatorio Beethoven Sonate per pianoforte “Waldstein”, “Tempesta” “Patetica” Variazioni “Eroica” pianoforte Evgenij Kissin sala Conservatorio
MILANO – Metti due musicisti di carattere, con qualcosa da dire. Due programmi intriganti e significativi, pensati e non semplicemente assemblati. Due personalità opposte ma a loro modo magnetiche: fortemente profilate nella proposta interpretativa. Il risultato è il sold out della sala del Conservatorio, e un entusiasmo alle stelle, da serate leggendarie. A smentire le cattive profezie sullo stato della musica (classica e “forte”) bastano i due recital allineati dalla Società dei concerti in una settimana (gli stessi eseguiti negli stessi giorni alla romana Accademia di Santa Cecilia). Di fronte al pianoforte c’erano Beatrice Rana e Evgeny Kissin. La qualità superiore del pianismo è la stessa, ma quanto diverso è il loro modo di suonare, di vivere il confronto con l’autore. Che la Rana sia più giovane di Kissin, che tra i due passi ormai una generazione, ha avuto un riscontro preciso nell’ascolto. Il russo Evgeny ha esordito nell’Urss della cortina di ferro quando Beatrice non era ancora nata. E si sente. La differenza sta in questi ultimi venti anni, in quello che hanno cambiato nel “rigore” dell’interpretazione. La Rana è figlia di una stagione in cui la pagina scritta è tornata a non essere più un feticcio. La sua restituzione è attentissima, ma nello stesso tempo libera nello stacco dei tempi e nel fraseggio, audace nell’invenzione di dispersioni e fughe in avanti. Così gli Studi op. 25 di Chopin sono intesi come “poemi sinfonici” di formato minimo e intensità espressiva massima, dove il virtuosismo è trasfigurato in termini di rifrangente grana sonora e una speciale “regia” anima la drammaturgia, sbalzando nessi sorprendenti o voragini di silenzio tra le singole unità. Affascinanti pure le “evocazioni” sonore di Iberia di Albeniz, dipinte a nervi scoperti, e gli stravinskijani Trois Mouvements de Petrouska, rivissuti tra magia del sortilegio sonoro e reattività rapinosa e nervosa dello scatto.
Se Rana ricrea, Kissin rilegge il testo di Beethoven da par suo. Il virtuosismo è sfolgorante, la capacità di variare i colori sui singoli suoni o passaggi infinita (nelle Variazioni “Eroica” sembrava davvero di sentire i dettagli dell’orchestra sinfonica); il tempo morde, insegue il pianista, la tensione non ammette cedimenti. Il risultato è quello di una energia travolgente ma compressa, costretta dentro argini invalicabili. C’è qualcosa in questo furore trattenuto che ricorda il giovane Pollini. E che però di fronte alle Sonate beethoveniane esposte alla temperie romantica – “Patetica”, “Tempesta”, “Waldstein” – emotivamente non rischia. Le esegue magistralmente, impedendoci ogni riserva. Ma si tiene sempre al riparo del “testo”, la proverbiale prigione abitata da troppo tempo che il carcerato non vuole più abbandonare. Laddove è proprio nei brani meno strutturati, le due scapricciate Bagatelle concesse come bis, che le strabilianti capacità esecutive – quel “materiale” digitale straordinario, quel controllo timbrico eccezionale, quell’arguzia interpretativa – trovano un rilievo umoristico paradossale oltre il segno che le annota.
Andrea Estero