Moise et Pharaon
PESARO – Tre nuovi allestimenti al Rossini Opera Festival. Alla Vitrifrigo Arena, Moïse et Pharaon è stato affidato alla direzione di Giacomo Sagripanti, sul podio dell’Orchestra Nazionale della Rai, una garanzia, e del coro “Ventidio Basso”, ben preparato da Giovanni Farina. Il lavoro del maestro abruzzese è apparso accurato, e attento a cesellare finezze timbriche ed equilibri strumentali. Ma non ha restituito davvero la dimensione stilistica del grand opéra, che esige anche turgore, rotondità espressiva, a volte monumentalità. Prevedibili le soluzioni di Pier Luigi Pizzi, che firma regia scene e costumi di un progetto visivo convenzionale, da usato sicuro. Si impegna a fondo nel tratteggiare il suo Moïse, Roberto Tagliavini, musicalmente irreprensibile e solenne come si deve, La sua vocalità, pur corretta, però non sempre possiede il peso e il colore necessari a fronteggiare l’antagonista, il Pharaon di Erwin Schrott che vocalmente esibisce, anche troppo, altra statura e autorevolezza. Timbro limpido e sonoro, talvolta squillante, nell’Anaï di Eleonora Buratto, protagonista femminile dove però il grand opéra vorrebbe un timbro più caldo e sensuale; e l’aria del quarto atto l’ha vista forzare sgradevolmente gli acuti. Superlativa la prova del mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya, una Sinaïde pienamente in stile e forte di una mirabile tavolozza espressiva. Impeccabili Andrew Owens, Aménophis, Alexey Tatarintsev, Éliézer, Monica Bacelli, Marie, così come Nicolò Donini e Matteo Roma nei ruoli di contorno.
Il Signor Bruschino
Fresco e brillante, al Teatro Rossini, Il signor Bruschino ora coprodotto con il Comunale di Bologna e con Royal Opera House di Muscat, Sultanato di Oman. Alla testa della Filarmonica Gioachino Rossini – notevole il solo di corno inglese nell’aria di Sofia, “Ah donate il caro sposo” – Michele Spotti ne ottiene una lettura articolata, luminosa, ben calibrata. Peccato che la collocazione in platea con il pubblico nei palchi, causa norme anti Covid, porti talvolta l’orchestra a sovrastare il canto. Intatta comunque la bella riuscita, anche per la qualità degli interpreti vocali. Giganteggia Pietro Spagnoli, Bruschino inappuntabile sotto ogni aspetto, musicale e scenico; gli tiene testa con bella misura, nel fraseggio, nell’accento e nel piglio attoriale, il Gaudenzio di Giorgio Caoduro. Molto bene anche Jack Swanson, Florville, e Marina Monzò, Sofia; lodevoli i comprimari Chiara Tirotta, Gianluca Margheri, Manuel Amati, Enrico Iviglia. Da segnalare il bel lavoro del tandem franco-canadese Barbe & Doucet, al quale si devono regia scene e costumi, con disegno luci di Guy Simard. Il castello del libretto è soppiantato da un battello con annessa scialuppa, attraccato a un molo ben attrezzato: ambiente congegnato a puntino, nel quale l’azione respira con bell’effetto.
Elisabetta regina d’Inghilterra
Infine, ancora alla Vitrifrigo Arena, la nuova Elisabetta regina d’Inghilterra, coprodotta con il Massimo di Palermo. Fare ammuina. È l’imperativo del regista Davide Livermore e dei suoi collaboratori per la messa in scena, Un continuo asfissiante di siparietti e controscene, un petulante agitarsi di figuranti, e poi proiezioni invadenti di video catastrofisti, trovate ridicole come i valletti con revolver oppure Norfolc che colloquia con la regina, a cinque metri, via telefono. Una fiera dell’inconsistenza, in scarso legame con la vicenda, allo scopo di mietere successo a base di effetti speciali. Sul versante musicale, si dipana corretta e ponderata la concertazione di Evelino Pidò alla testa dell’Orchestra Nazionale della Rai e del coro “Ventidio Basso”. Nel ruolo eponimo, Karine Deshayes scolpisce autorevolmente un’Elisabetta abitata dalle sue contrastanti pulsioni: tuttavia, la vocalità mezzosopranile, in questo ruolo, inevitabilmente paga pegno quando deve spingersi all’acuto. Senz’altro positiva la resa di Sergey Romanovsky nei panni di Leicester, e di Barry Banks, un Norfolc decisamente migliore nel secondo atto. Nelle seconde parti si fanno apprezzare Salome Jicia, Matilde, Valentino Buzza, Guglielmo, Marta Pluda, Enrico.
Appelli finali. Caro Rof, rendi leggibili i sopratitoli all’Arena! Secondo: mai più la provinciale cantonata dei nomi dei danzatori del Moïse in fondo alla locandina, dopo autisti e fattorini, con tutto il rispetto!
Francesco Arturo Saponaro
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