interpreti A. Nizza, E. Ferrer, A. Veccia
direttore Antonino Fogliani
regia Rudy Sabounghi
teatro Costanzi
Erano proprio necessari gli sforzi congiunti di Montecarlo, Roma e Livorno per riportare alla luce uno dei più dimenticati titoli di Mascagni, Amica, che lo stesso autore, un paio d’anni dopo la première monegasca nel 1905, ripose nel cassetto traendola per rarissime occasioni? Verrebbe fatto di rispondere no, a giudicare dal bel Costanzi semideserto in una recita diurna, dai tiepidi applausi del pubblico, piuttosto disorientato, e dalla scarsa risonanza che l’opera aveva avuto anche l’anno passato a Martina Franca. Amica ha infatti un libretto (francese) che più vecchio non si potrebbe immaginare, la solita contesa fra due fratelli per una donna, in una cornice savoiarda in cui Mascagni fa il verso al se stesso dei pastorali Amico Fritz o Rantzau. Ma quello che stride maggiormente è che i colori popolari dei cori e delle monferrine e la drammaturgia decisamente veristica si scontrano con una musicalità che vorrebbe dimostrare l’aggiornamento in senso europeo (Wagner in primis) di Mascagni, con un’orchestra turgida, un timido gioco di Leitmotiven, un canto incline alla declamazione e un ruolo tenorile pensato, fin dalla sua creazione, per un Heldentenor. Operazione che vorrebbe essere sperimentale, ma si risolve in un momento di approssimazione e di calo d’ispirazione, con rarissimi momenti memorabili quanto a invenzione melodica.
La produzione romana ha avuto una regia tradizionale, in una cornice di gusto cartolinesco di Rudy Sabounghi (con tanto di crocione metallico in mezzo alle montagne), ma con l’innesto di una sequenza cinematografica durante l’Intermezzo, una pagina tempestosa che allude alla passione amorosa di Amica e Rinaldo e che invece Jean Louis Grinda ha risolto come un viaggio tra le Alpi nevate ripreso dall’aereo: molto più suggestivo un sipario calato, che avrebbe dato spicco all’accurata direzione di Antonino Fogliani, cui, semmai, si può solo rimproverare un eccesso di eleganza, e richiedere un po’ più di grinta per valorizzare questa densa partitura. Nella compagnia, svettava Amarilli Nizza, con la sua vocalità incisiva e, a tratti, sensuale (indimenticabile la sua Suor Angelica nei teatri emiliani), accanto a un convincente Enrique Ferrer nei panni di George e a un Angelo Veccia, un po’ stanco Rinaldo.
Cesare Orselli