BOLOGNA
[direttore] Claudio Abbado
[orchestra] Mozart
[auditorium] Manzoni
(ph. Raffaello Raimo ndi/DG)
“Un’esecuzione libera da sovrastrutture mentali o direttoriali, realizzata a mani nude”
Meno inedito, più istruttivo (e rischioso, se vogliamo). Il secondo programma di giugno Abbado/Orchestra Mozart ha preso il via da Bologna, toccato Firenze e attraccato all’Auditorium della Guardia di Finanza dell’Aquila, per dare corpo e anima al gemellaggio tra la Mozart e le popolazioni dell’Abruzzo (pronuba la storica Società di concerti “Barattelli”). Facile dire del segno solido e carico di speranza che la bellezza della musica può raccogliere e restituire in occasioni solidali come questa. Meno semplice raccontare la bellezza speciale racchiusa in queste esecuzioni.
Con la Mozart a Abbado riesce meglio il far musica privo di zavorre: a cominciare dalla bacchetta, sostituita dalle nude mani. Sono esecuzioni libere da sovrastrutture mentali o direttoriali, concentrate a restituire ogni rivelazione di verità poetica, senza certezze da consegnare a chi ascolta ma anche senza esitazioni: in un cammino comune (anche la concentrata presenza del pubblico conta) in cui il suono dell’orchestra e la fisicità del concertatore progressivamente scompaiono, lasciando spazio all’impronta d’autore. Abbado ha accostato due magistrali “minore” sinfonici: una prova giovanile ma intrinsecamente matura (la Sinfonia n.4 di Schubert) e un lavoro della maturità, intinto di drammaticità ma anche di mercuriale attaccamento alla vita (la Sinfonia n. 40 di Mozart: gli studiosi di numerologia potrebbero trovare una ragione segreta all’accostamento). Ne ha dato una lettura illuminante per tensione e allo stesso tempo respirata nei fraseggi: interpretazioni solenni, drammatiche, a tratti sacralmente comprese (soprattutto con la coralità strumentale fatta spiccare nell’Adagio introduttivo schubertiano), ma anche ariose e friabili: sovraccaricate di una ricchezza espressiva che lambiva la commozione senza lacrime. Così struggeva l’immobilità tragica e arcana dell’Andante schubertiano; come lo specchiamento limpido e inquieto negli infiniti ritorni tematici dell’omologo movimento mozartiano. Entrambi scanditi con lentezza ma svuotati di ordinaria retorica romantica dall’articolazione asciutta, dalla disciplina strumentale, e dalla continua sensazione di stupore musicale. Sarebbe poi stata sufficiente la perfezione metrica e di estro offerti al Menuetto mozartiano a celebrare la magistrale partitura e la conturbante occasione concertistica.
Angelo Foletto