BOLOGNA
[solisti] J. Kleiter, R. Bove, R. Harnisch
[direttore] Claudio Abbado
[orchestra] Mozart
[coro] della Radio Svizzera
[auditorium] Manzoni
“Tutti gli archi utilizzano archetti classici e montano corde di budello su ponticello ribassato, accordate a La a 430 Hz”. Gli ascoltatori sono avvisati: Abbado compie un ulteriore passo verso la cultura delle prassi esecutive storiche. E così l’orchestra Mozart, l’ultima creatura nata per festeggiare il Salisburghese, cambia veste per entrare in un mondo più vecchio di cinquant’anni, quello di Pergolesi. Sì, proprio quel Giovan Battista che con l’intermezzo La Serva Padrona divenne un caso nelle scene europee del melodramma, soprattutto in quelle parigine, è il prossimo obiettivo abbadiano. Lo affronterà con il supporto musicologico della Fondazione Pergolesi-Spontini, che promette di pubblicare le sue opere fino al 2010, trecentenario pergolesiano. Partendo dalla musica sacra. Così nell’auditorium Manzoni di Bologna si passa dalle festose serenate e cassazioni mozartiane ai più severi Confitebor Tibi, Stabat Mater, Salve Regina.
L’adeguamento strumentale significa che la commistione di tecniche esecutive del passato con strumenti moderni non basta più. Andava bene per Mozart, non per Pergolesi. Ma non si pensi a una aggiornamento superficiale, dettato dalle mode. Niente è più lontano dal barocco festante e sferzante dei Christie, Minkowski, Rousset. Sono suoni perlati e a tratti screziati quelli di questo Salve Regina in la minore e del Confitebor che segue (bella voce coperta, bella musicalità quella di Julia Kleiter e di Rosa Bove). Abbado li contempla, ma non li plasma, se non per piccoli tocchi, impercettibili tratti. Come fragili porcellane da maneggiare con cura.
Non ha niente di affettuoso questo Pergolesi. Rinuncia all’espressione intensa, alla melodia vibrata, ai suoni soffici entro cui affondare. È ancorato allo stile severo della antica scuola napoletana, più che alle nuovissime seduzioni melodrammatiche. Suona più barocco che galante. Soprattutto nelle evoluzioni del grandioso Dixit Dominus per soprano due cori e due orchestre che dopo la leggiadra Cantata per soprano “Chi non ode e chi non vede” (protagonista una Rachel Harnisch priva di morbidezze e con acuti stimbrati) chiude il concerto. Abbado esalta la concezione volumetrica e “battente” del rapporto tra i fronteggianti gruppi corali e orchestrali, riscoperti proprio dalla nuova edizione critica. I soli e i tutti, i pieni e i vuoti: l’espressione non è immediata, ma risulta dal gioco formale e spaziale.
E se il suono della Mozart è luminoso e dove occorre ombreggiato, ma sempre nitido e certosino negli intarsi strumentali che contrappuntano le evoluzioni solistiche, quello del Coro della Radio Svizzera è un trionfo di precisione e intonazione. Merito anche di quel Diego Fasolis che lo ha cresciuto e preparato. E che in questo concerto, con atto di devozione nei confronti del podio, orna il basso seduto al cembalo.
Andrea Estero