LUGANO
[violino] Renaud Capuçon
[pianoforte] Martha Argerich, Nicholas Angelich
[direttore] Charles Dutoit
[orchestra] della Svizzera italiana
Nato nel 2002 il Progetto Martha Argerich è giunto alla settima edizione, mantenendo i suoi tratti peculiari di festival in prevalenza cameristico che affianca, fuor di gerarchie sclerotizzate, noto a meno noto, artisti di fama a giovani promesse, capisaldi del repertorio otto-novecentesco a rarità e riscoperte. Niente accademie, masterclass, concorsi et similia. Si suona e basta, e possibilmente ai massimi livelli. Garantisce Martha. Le ultime tre giornate di Lugano si sono aperte con un omaggio ad Alexis Weissenberg, da oltre tre lustri ticinese adottivo. Autore dalla fervida vena jazzistica, il leggendario pianista compose nel 1978 La Fugue, commedia musicale per cinque voci e due pianoforti. Storia surreale giocata fra improbabili sbalzi spazio-temporali e trovate meta-narrative, La Fugue, di “fughe” in senso proprio non ne contiene (neppure il brano imitativo d’apertura, “Rythmes syncopées”, può dirsi tale). Piuttosto s’assiste ai contrappunti amorosi fra i personaggi principali e al tentativo di questi di sottrarsi ad un destino. Fa da cornice a tali intrecci lo sguardo di un bimbo-mai-nato in attesa di trovare il momento propizio per venire al mondo. Nella versione “oratoriale” presentata all’Auditorio della Rsi, il musical si snoda fra canzoni e brani strumentali con raccordi narrativi di Francis Lacombrade in sostituzione di didascalie e dialoghi del libretto originale. Discontinuo nella resa il cast vocale (ma la scrittura di Weissenberg fa più pensare a vocalist tipo Swingle Singers o Manhattan Transfer); tutti valorosi i 14 pianisti alternatisi alle tastiere, con una menzione speciale per David Miller, coordinatore dell’impresa e squisito accompagnatore in alcuni songs. In due momenti emblematici s’iscrivono i poli estremi dell’ispirazione di Weissenberg: il duetto “Il est espert”, con la Argerich evocante il pianismo di Oscar Peterson e quell’assorto “Slow Casino” in cui l’autore insiste maliziosamente sui quattro suoni del nome BACH. Successo caloroso siglato dal gesto inobliabile della Argerich che porge dal palco una rosa bianca all’autore, stoicamente in prima fila, malgrado lo affligga una malattia inesorabile. Altra piacevole sorpresa il concerto in San Rocco di Alan Weiss, pianista formidabile capace di tener salda la bussola anche nell’avventuroso procedere della Symphonie op. 39 di Alkan, iperbolico ripensamento della Sonata funèbre di Chopin, e di regalare, come bis personale, una lussureggiante trascrizione da Porgy and Bess del suo maestro David Saperton, prima di assecondare la giovane violinista Alissa Margulis, incisiva interprete della ruvida Terza Sonata di Enescu. Piatto ricco nel segno del violino e del pianoforte anche per il gran finale al Palazzo dei Congressi con Charles Dutoit, oggi massima celebrità direttoriale nazionale, alla testa della Orchestra della Svizzera Italiana dopo molti anni di assenza. Difficile immaginare il Primo Concerto di Bartòk con maggior adesione lirica di quella profusa da Renaud Capuçon; tant’è che al confronto l’Havanaise di Saint-Saëns, pur eseguita con splendida cavata e generoso vibrato da Geza Hosszu-Legocky, pareva un bozzetto esotico di maniera. Concerto in sol di Ravel e Terzo di Prokofiev sono i pilastri novecenteschi del genere e del repertorio della pianista argentina. Onore a Nicholas Angelich d’aver accettato la sfida in Ravel e d’averla onorata in modo originale, cogliendo soprattutto il lato elegiaco del lavoro. Orchestra tirata allo spasimo da Dutoit in Prokofiev che, nella esecuzione della Argerich, è ormai la messa in opera di un paradigma. Applausi trionfali e appuntamento al 2009. Non si direbbe, ma la coppia a gennaio del prossimo anno fa 50. Di carriera professionale, s’intende.
Simone Monge