interpreti O. Peretyatko, A. Kotscherga, J.M. Kränzle, M. Prudenskaja direttore Daniel Barenboim regia Dmitri Cherniakov teatro alla Scala
MILANO – Rimskij costruisce la sua Sposa per lo zar su un doppio binario: l’intreccio amoroso che vede il soprano promessa al tenore, ma amata segretamente dal baritono, che a sua volta rifiuta il mezzosoprano. Puro melodramma “romantico” condito da feste in piazza, trame segrete, maghi e filtri d’amore. Ma c’è un secondo livello, inquietante: l’invisibile zar (non compare mai in scena) sceglie in moglie proprio la protagonista, azzerando così la contesa amorosa, e gettando sulla storia un’ombra metafisica. Il colpo di scena arriva però tardi, quando ormai il melodrammone ha avuto il suo lungo corso. Ecco allora le ragioni che hanno portato Cherniakov ad anticiparlo e “tematizzarlo” fin dall’inizio. Durante l’ouverture campeggia l’interfaccia di un pc dove si decide a tavolino (con un rapido scambio di mail tra eminenze grigie) la creazione di uno zar, il leader virtuale perfetto; e si ipotizza di dargli una moglie altrettanto ineccepibile, una first lady innocua e telegenica, come sarà Marfa. Premessa registica fin troppo didascalica, ma forse necessaria. Durante tutta l’opera, poi, le azioni si svolgono accanto a uno studio televisivo, come pilotate da un’occulta regia. Perfino il folklore russo, di cui l’opera è costellata, è ridotto a quadretti in costume, ottimi per gli ossessivi tg “di regime”.
Lo zar dunque non esiste, è un’invenzione mediatica. Impostazione, questa, che approfondisce la cupa riflessione sulla presenza di un potere oscuro e incombente, già contenuta in Rimskij. Cucendola su rischi e paure contemporanee, e proiettandola a dismisura su uno schermo gigante. Fino al quadro finale: quando l’annientamento della sposa reale, distrutta dall’effetto di un filtro d’amore nocivo, incrocia il trionfo postumo di quella virtuale, sorridente e imperturbabile icona pubblicitaria.
Bravissime le donne, in testa Olga Peretyatko, Marfa suadente, emozionata e fragile (ma padrona del canto), e Marina Prudenskaja, Ljubasa protagonista intensa di struggenti canzoni e memorabili corpo a corpo attoriali, iperrealistici. Gli uomini – Johannes Martin Kränzle, Pavel Chernoch e Anatoly Kotscherga – sono vocalmente imperfetti ma caratterizzano bene i loro “tipi”. Barenboim, di fronte a questo Rimiskij che torna ad arie, cori ed ensemble di antico conio, cerca “l’opera” a tutto tondo, enfatizzando le svolte drammatiche a scapito delle sfavillanti epifanie coloristiche. Un nerbo sinfonico e una disciplina direttoriale esibita anche nel concerto di stagione con la Filarmonica e – di nuovo – con una partitura mai aperta dagli scaligeri: un Falstaff di Elgar impressionante per la rispondenza dei filarmonici allo sfrenato, gagliardo, virtuosismo umoristico d’autore. Incorniciata da due capolavori (l’ouverture dell’Oberon e il Concerto K 482) di musicalità limpida eppure ombreggiata: in Mozart si univa una voce pianistica distillata in purezza, ma instancabile nell’ordire intriganti e screziati dialoghi con gli altri fratelli d’orchestra.
Andrea Estero
(la versione completa di questa recensione compare su “Classic Voice” n. 178, marzo 2014)