interpreti E.M. Westbroek, A. Okedirettore Antonio Pappanoregia Richard Jonesteatro Covent GardenLONDRA
LONDRA – Qualche mese fa è stato all’onore delle cronache per Hammered Out, un lavoro per orchestra eseguito ai Proms dalla BBC Symphony Orchestra, che celava un segreto: era modellato sul ritmo e sui motivi di una canzone di Beyoncé, Single Ladies. Mark-Anthony Turnage è un compositore ormai cinquantenne, ma continua ad essere l’enfant terrible della musica contemporanea britannica. Il suo istinto dissacratorio è venuto fuori anche in Anna Nicole, la sua nuova opera, messa in scena al Covent Garden, che raccontava la vita, breve, di Anna Nicole Smith: modella, attrice, coniglietta di Playboy, al centro del gossip per il suo matrimonio col petroliere Howard Marshall (lei 26 anni lui 89), per la lunga battaglia per l’eredità, per i suoi eccessi, il ricorso alla chirurgia plastica, l’uso di droghe, la sua morte per overdose, avvenuta nel 2007 in una camera d’hotel in Florida, a 39 anni. Il compositore ha visto questa storia come una parabola tragica nata dall’ossessione per il successo. Lo spudorato libretto di Richard Thomas, pieno di giochi di parole, descriveva con un divertente gusto didascalico, la nascita e la caduta di questa icona pop degli anni 90. Così come la musica, rapida, frenetica, dominata da fiati, percussioni, chitarre elettriche, e un trio jazz sulla scena, che cambiava colori e umori repentinamente – grazie anche alla scattante direzione di Pappano – nel continuo alternarsi di microscene, che ricordava più ritmi delle trasmissioni televisive, delle comiche, dei cartoni animati, che quelli di un’opera. Anche la regia di Richard Jones era in perfetta sintonia con questa rappresentazione farsesca del sogno americano, dove tutto appariva coloratissimo, plastificato, irreale e in perenne movimento, pieno di scene esilaranti: la grottesca descrizione della famiglia nella nativa Mexia; la presa di coscienza di cosa servisse per sfondare nel mondo dello spettacolo (la lezione fondamentale “you need to get some tits” che le viene urlata dal coro; l’esilarante elenco ti taglie delle protesi); l’immediato successo "post-operatorio" come lap dancer e poi come sposa del miliardario (applauditissimo il tenore Alan Oke planava sulla scena dall’alto, come un deus ex machina, e si muoveva sulla scena come un vecchio decrepito, con la tremarella, le mise dorate, lo sguardo estasiato dopo una fellatio della prosperosa mogliettina; i party popolati da culturisti e attraversati da lunghe strisce di coca. Ma era anche un’opera sul voyeurismo dei media, sempre piena di microfoni, di intervistatori, di mimi-telecamera, con corpo umano e testa da cinepresa. Nonostante la presenza di alcuni elementi drammatici, come la morte del figlio Daniel, l’opera restava un divertissement pieno di energia, capace di scatenare l’entusiasmo del pubblico, ma privo di sostanza drammatica, e nemmeno caustico e graffiante. L’eroina siliconata era magnificamente interpretata dal soprano olandese Eva-Maria Westbroek che sfoggiava un’ottima tecnica, anche nelle colorature (ad esempio nella scena del parto ripreso dalle telecamere). Ma anche le sue arie più dolenti, come il suo addio alla vita intonato chiudendosi dentro un sacco mortuario, restavano imbrigliate nella dimensione fumettistica che avvolgeva tutta l’opera.
Gianluigi Mattietti