interpreti I. Abdrazakov, V. Urmana, R. Vargas, G. Meoni, S. Rameydirettore Riccardo Mutiregia Pierre Auditeatro Metropolitan
New York
NEW YORK – A 68 anni Riccardo Muti, direttore tanto carismatico quanto controverso, ha finalmente debuttato al Met. Perché un’attesa così lunga? Primo: il Met è stato per lunghi anni il regno di James Levine; secondo: non solo Muti aveva molto da fare a Milano e Philadelphia, ma è anche notoriamente assai esigente. Questa volta ha chiaramente ottenuto ciò che voleva: una prima al Met con una bella opera giovanile di Verdi, eseguita troppo di rado.
L’opera in questione era l’Attila, qui offerta per la prima volta nella nuova edizione critica coprodotta dalla University of Chicago Press e da Casa Ricordi. Le opere verdiane del primo periodo sono talora derise per gli accompagnamenti monotoni e la struttura convenzionale, ma il genio di Muti sta appunto nel lavorare su questi problemi, indugiando sui momenti migliori della partitura e scoprendo tutte le batterie nei momenti più elettrizzanti: arie, duetti e finali. Nell’Attila c’è una dozzina di buone melodie. Muti sa renderle tutte memorabili; il terzetto dell’ultimo atto è così magistrale che Verdi potrebbe averlo scritto 25 anni dopo. Nulla di meccanico o di accomodante nell’atteggiamento di Muti verso la sua musica. L’orchestra del Met sapeva di essere in buone mani; i musicisti si sono dati senza risparmio e ne è venuta fuori una serata emozionante.
L’elegante basso russo Ildar Abdrazakov non produce forse sonorità grandiose come Samuel Ramey o Nicolai Ghiaurov ai loro esordi, ma nel ruolo di Attila domina la scena e dispiega una linea melodica d’impressionante bellezza.(…) Nel ruolo di Odabella, micidiale in tutti i sensi, Violeta Urmana supera gli ostacoli quasi proibitivi nell’aria del prologo. Il suo canto è sicuro ed espressivo da cima a fondo, gli acuti consistenti e radiosi. Nei panni di Foresto, eroe amoroso e patriottico, il tenore Ramon Vargas mostra di poter passare senza troppa fatica da ruoli belcantistici ad altri di maggior peso; canta con passione e sicurezza, seppure con occasionali problemi d’intonazione nella mezza voce. (…)
Meno piacevole la parte visiva, con costumi di Miuccia Prada e scene dello studio Herzog & de Meuron (i progettisti del Tate Modern di Londra). Alla regia di Pierre Audi si deve imputare la staticità poco fantasiosa dell’azione: molto movimento sulle prime, ma presto i cantanti si piazzano di fronte al pubblico, si rivolgono al coro dopo la prima strofa e tornano a girarsi per la seconda. (…) Efficaci nella prima scena le rovine di Aquileia dopo il saccheggio, ma in seguito una foresta verticale a mo’ di sipario verde pendente fin quasi a terra schiaccia i cantanti.
Robert Levine
(la versione completa di questa recensione compare sul numero 131 di Classic Voice, aprile 2010)