Verdi – Il trovatore

Verdi - Il trovatore

interpreti N. Fantini, M. Alvarez, L. Nucci 
direttore Yuri Temirkanov
regia Lorenzo Mariani
teatro Regio
PARMA

PARMA – C’è un mito resistente da sfatare: quello dei loggioni competenti e inflessibili. Alla Scala e a Parma sono giudici severi, si dice. Macché. Prendiamo il Trovatore che ha aperto il Festival Verdi. Il verdetto dei loggionisti boccia la direzione di Yuri Temirkanov e salva la regia di Lorenzo Mariani. A parte il lato curioso della scena, con il grande direttore russo che si prende un po’ stupito i “buu” e con il regista che – altrettanto basito – scopre di essere stato l’unico graziato, c’è un problema di merito. Questioni di pre-giudizio. E non parliamo del pubblico generico, a cui questo spettacolo può anche essere parso un capolavoro. No: qui si tratta dei sedicenti competenti. Ma allora come si fa a porre in cima al gradimento una non-regia che riesuma tutti i peggiori stereotipi melodrammatici e castigare con i fischi una direzione autorevole, al di là di gusti e preferenze soggettivi? Succede nel mondo al rovescio dei loggionisti parmigiani.
In quello “dritto”, Temirkanov ha diretto un Trovatore stregante, evitando con consapevolezza la retorica focosa della pira. Un tracciato orchestrale ovunque sussurrato e palpitante, che scansa gli stacchi decisi a favore di una gestualità avvolgente. Certo, l’orchestra è forse troppo rigida per seguirne le plastiche evoluzioni. È anche vero che rispetto alla Traviata che ha rivelato a noi il suo talento operistico, il “passo” era stavolta meno spedito. Mancava l’arcata unitaria che allora serrava gli atti inchiodandoci alla poltrona. Talvolta Temirkanov ha perso di vista il racconto. Altre volte il legame con il palcoscenico, sempre preoccupato di restituire dignità strumentale all’invenzione orchestrale. Ma la personalità d’autore, quella non latitava mai.
I Manrico, oggi, non si trovano voltando l’angolo. Chi meglio di Marcelo Alvarez può sostenere la parte, cercando anche le irrinunciabili ritenzioni? Norma Fantini ha acuti sgraziati (alla Prima rinuncia a cantarne uno, sulla stretta della cabaletta), ma è una Leonora espressiva e flessibile; Marianna Tarasova un’Azucena pericolante, di gusto viscerale. Leo Nucci, in un goffo travestimento da Conte di Luna, compie il miracolo vocale (non sempre è così, alla sua età) e cerca l’intesa interpretativa col direttore. Tutti in realtà sembrano zavorrati dai personaggi che si portano addosso. Colpa di una regia votata al massimo disimpegno. Peccato perché le spoglie scene di William Orlandi, segnate da una grande luna incombente (c’era anche nella Lucia di Graham Vick), sarebbero potute diventare un’ottima palestra di recitazione.
Andrea Estero

 


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