Verdi Stiffelio
interpreti R. Aronica, Y. Guanqun, R. Frontali
direttore Andrea Battistoni
regia Guy Montavon
teatro Regio
PARMA
PARMA – Con Stiffelio Verdi concepì quell’opera che non gli fecero mai più scrivere. Un Rigoletto senza lo schermo dell’antica Mantova, un Ballo in maschera alla corte del Re di Francia, una Violetta “puttana” contemporanea. Un teatro declinato al presente: poi bloccato, violato, dalla censura. Quanto dello storicismo letterario e teatrale ottocentesco è frutto del perbenismo di stato? La questione resta aperta. Ma con “Il prete”, il melodramma ambientato in una metà Ottocento a lui familiare, l’obiettivo di un’opera che parli senza filtri al pubblico sembra a portata di mano. Anche se in seguito lo si obbligò a spostare identità e luoghi: dalla Germania protestante a quella della (inventata) setta “assasveriana”; poi al quindicesimo secolo. Per finire, con la riscrittura di Aroldo, nella remota Scozia cavalleresca. Tutt’un’altra, più debole, cosa.
A Parma si è eseguita la partitura dell’edizione critica che – dopo la riscoperta del lavoro verdiano censurato – fissa l’intenzione compositiva (quasi) d’origine. Lo sguardo di Verdi di fronte a suoi contemporanei. E il regista che fa? Dipinge un quadro d’epoca: gli uomini puritani in pastrano con le barbe lunghe, le donne con le cuffie vestite fino al collo. Ripropone cioè quella distanza che Verdi voleva cancellare. Qui – a rileggere il libretto – si parla di una donna che tradisce il marito. Per noia, errore, piacere? Di un amante vacuo, effimero, falsamente romantico. Il padre la ama, troppo: è possessivo, vendicativo. E la società religiosa ma senza fede, pronta solo a condannare. Ipocrita. Lina ha gli occhialini che alludono alla sua emancipazione di donna di lettere. Ma per il resto di tutte queste ambiguità lo spettacolo non dice nulla. Le nasconde negli stereotipi caricaturali di un protestantesimo ottuso. Anche il finale, quando Stiffelio ricorda in predica la parabola dell’adultera, lascia perplessi: perdona per crescita interiore o per senso del dovere? La musica non è toccante, ma possente. Mentre la regia si limita all’immagine delle pietre bibliche che scendono dall’alto, senza essere scagliate. Illustra, decora, non interpreta. (…)
Andrea Estero
La versione completa compare sul numero 156 di "Classic Voice" (maggio 2012)