VICENZA – “Peggio di un bastardo”, così in una celebre autobiografia scritta con l’aiuto di Nel King si autoproclamava l’artista maledetto Charles Mingus (1922-1979), contrabbassista compositore cui è dedicata l’edizione in corso del “New Conversations” vicentino diretto da Riccardo Brazzale.
L’occasione di parlarne è suggerita dai concerti cui abbiamo assistito nel palladiano Teatro Olimpico, dove appena si entra gli occhi cadono inevitabilmente su quel gioiello ligneo d’epoca rinascimentale che sono le scene fisse di Vincenzo Scamozzi.
La sera di sabato 14 maggio, sul proscenio delle statue accademiche, è salito il Trio Tapestry di Joe Lovano (al battesimo da leader per Ecm nel 2018), sassofonista solidamente affiancato da Marilyn Crispell al pianoforte e da Carmen Castaldi alla batteria. Lovano sembra un pittore con in mano la matita carboncino pronta a muoversi sulla pagina bianca dell’improvvisatore. Poi, come un ballerino, danza imbracciando il sax tenore attorno alla Crispell invitandola a volteggiare con lui. Potenza e scavo intellettuale di Joe evocano un paesaggio pastorale dai colori rassicuranti. Ma presto si volta pagina. E rumori e suoni delle città frenetiche s’impongono da un sax che le ridipinge usando tinte acide. A far da spalla i martelletti del pianoforte, dai quali giungono echi percussivi di un caos metropolitano all’ora di punta. Il procedere di Lovano, grazie anche all’affiatamento con due musicisti già frequentati in passato, prende forma da frammenti melodici brevi, spesso asimmetrici, ma che riescono a svilupparsi in modo fluido, prova ne siano l’eleganza di di Seed of Change o la visione d’insieme del pentatonico Mystic, per il quale Lovano sfodera il tarogato, legno etnico del folclore ungherese.
La sera seguente, domenica 15, sullo stesso proscenio dell’Olimpico, è salito Bill Frisell, che fra l’altro con Lovano e Paul Motian per alcuni dischi Ecm è stato contitolare. Si tratta di un chitarrista che ha ricavato attraverso il suo militante eclettismo (collaborazioni con rockstar e per il cinema) uno stile jazz unico in cui fonde primitivi echi country dell’America bianca rurale con i più imprevedibili tecnicismi postmoderni. Da questo apparentemente improbabile mix, l’artista di Baltimora riesce a cavare una sorta di rassegna infinita di incipit e finali a collage, senza soluzione di continuità. Ad affiancarlo (e assecondarlo) in questa temeraria sfida il contrabbasso di Tony Scherr e la batteria di Kenny Wollesen.
Nelle due giornate di festival cui abbiamo assistito segnaliamo anche, nel pomeriggio di sabato a Palazzo Thiene, le sperimentazioni su microstrutture tonali del quartetto d’archi della contrabbassista Federica Michisanti. Nella mattinata di domenica, invece, i fumetti sulla vita tormentata e le battaglie contro il razzismo di Charles Mingus (in Mingus, di Flavio Massarutto e Squaz, Coconino Press Fandango) e, nel pomeriggio, il ricordo di Chet Baker col trio del pianista Dario Carnovale a far da sottofondo ai versi stralunati del poeta documentarista francese Eric Samer.
Il festival è proseguito (info www.vicenzajazz.org) fino a domenica 22 maggio (con molte formazioni fra cui l’Avishai Cohen Trio, il David Murray Quintet, il John Surman Vigleik Storaas duo, il trio DeVito Rava Hersch, Il John Scofiel trio), poi riprenderà a luglio (dal 14 al 17) con altri nomi quali Dave Holland e Chris Potter, Kurt Elling e Charlie Hunter.
Alessandro Traverso
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