BOLOGNA – La storica capitale del wagnerismo italiano, Bologna, ha inaugurato la stagione 2020 con Tristan und Isolde, primo capitolo di un impegnativo progetto che riproporrà i cinque titoli di Wagner che nel centro emiliano ebbero la nostra première nazionale. Una produzione realizzata dal Comunale di Bologna con La Monnaie di Bruxelles, accolta da un pubblico straripante ed entusiasta nei confronti anche della seconda compagnia di canto, e che ha molto ammirato lo spettacolo ideato da Ralf Pleger; il regista, in sintonia con Alexander Polzin, scenografo, ha ripensato il dramma medievale puntando a una essenziale gestualità dei personaggi, quasi oratoriale, e a una ambientazione tendenzialmente astratta, metastorica, a partire dal I atto, dominata da una sorta di bosco di grandi stalattiti che lentamente cadono dall’alto e si illuminano di un biancore agghiacciante al momento della rivelazione d’amore fra i due protagonisti. E se per il III atto l’elemento visivo si è risolto in un fondale costellato di luci, un cielo di gusto geometrizzante, quasi fosse ideato da un diverso scenografo, Pleger ha toccato il vertice della felicità inventiva al secondo, dominato da un monumentale albero candido in movimento, con rami intrecciati con figure umane che lo animavano e ne uscivano con musicalissima morbidezza, e in cui si abbandonavano Tristano e Isotta.
Se le soluzioni registiche hanno ottenuto un riconoscimento trionfale dal pubblico, altrettanto clamoroso il plauso nei confronti del cast, in cui di straordinario splendore è apparsa la vocalità dell’americano Bryan Register come “secondo” Tristano (alla prima c’era Stefan Vinke), piena, sicura, ma anche morbida, e luminosa negli acuti, anche se imprevedibilmente il sublime duetto del secondo atto è stato tenuto su un registro più raccolto e lirico, come se il direttore Juraj Valčuha avesse voluto continuare i toni più intimi e quasi di sommessa attesa che avevano caratterizzato la lettura del primo atto, e allineandosi alla morbidezza, con qualche tratto di affaticamento, di Catherine Foster, stella di Bayreuth (anch’essa seconda rispetto alla titolare del primo cast Ann Petersen), che nel primo atto era invece apparsa vigorosa e incisiva. Poi, al terzo atto, Register ha riconquistato tutta la pienezza splendente emersa nel finale del primo; mentre la Foster nella Morte di Isotta ha confermato certe difficoltà (nei fiati, nello spessore vocale, nella partecipazione al sublime canto) già notate nel duetto d’amore. Strepitosa l’interpretazione di Brangania affidata a Ekaterina Buganova: dolente compagna di Isotta dalla voce di timbro sicuro e bellissimo, dizione con spettacolare sottolineatura di ogni singola parola; e di nobilissimo tratteggio il doloroso lamento di re Marke grazie al canto esemplare di Albert Dohmen.
Dicevamo dei toni raccolti assunti da Juraj Valčuha, dopo un arioso e convincente Preludio, in gran parte del I atto e nel duetto d’amore; il suo modo di avvicinarsi a Wagner ha prodotto una lettura che rifugge dall’enfasi, dalle sonorità eccessive, anche se nel III atto ci è parso assumere accenti più dolorosi (forse grazie alla strepitosa prestazione di Register, protagonista assoluto della scena) e trascinanti. Un’interpretazione che si fa apprezzare per il buon gusto e, quasi, l’eleganza del tratteggio cui, forse, qualche momento di più accesa drammaticità e di più intensa sensualità avrebbe aggiunto una punta di quel romanticismo esasperato di cui Tristan und Isolde è emblema nella storia dell’opera.
Cesare Orselli
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