interpreti J. Pratt, S. Mukeria, G.B. Parodi, A. Viola direttore Gabriele Ferro orchestra e coro Teatro La Fenice di Venezia regia Bepi Morassi regia video Tiziano Mancini dvd Unitel Classica C Major 713908 prezzo 30
L’opera con cui Bellini sancì in modo definitivo la sua appartenenza al Gotha dell’operismo italiano è una storia di ingenue schermaglie tra popolani e aristocratici che abbisogna di una realizzazione vocale e scenica affondata nel mito e non nella realtà; e mentre nello spettacolo della Fenice veneziana qui preso in questione, anno di grazia 2012, di realtà ve n’è a iosa (al punto di trasformare l’agreste sfondo di una Svizzera paesana in un attualissimo chalet di montagna con tanto di sciovie e corriere turistiche), di mito ne intravediamo pochissimo. L’esito è che non si si sa che farsene di quel coro di montanari che stanno spesso in giro e che si tramutano a comando da tributari della soavità innocente della protagonista in pettegole comari di maldicenza distruggendo così la “verità” della fiaba. Perché di fiaba si tratta, come intuirono anni addietro la Callas e Visconti, e non di cronaca rosa dei nostri tempi, il cui effetto è di diluire la portata magica di una storia che oggi non avrebbe nessuna occasione di dirsi reale. Si deve dunque partire dalla regia di Bepi Morassi, diligente nel disporre i piani scenici, talora anche invitanti, di Massimo Checchetto, ma non proprio a suo agio nel ricrearne lo spirito post-illuministico che s’incarnò sedici anni prima nel Congresso di Vienna. La poesia di Felice Romani è abile nel salvaguardare gli antichi valori del genere curtense, insomma, però è Bellini, con la sua trasfigurazione lirica, a stabilirne quella patina di ambiguo riformismo che qui non si ritrova. Ciò detto (ma la cornice è indispensabile a decretarne la veridicità), l’esecuzione musicale di questa Sonnambula si fa apprezzare quasi per intero. Gabriele Ferro dirige con ammirevole castigatezza e giusto dosaggio degli equilibri fonici la compagine veneziana, sì da dar l’idea di puntare piuttosto sulla piattaforma classicistica dell’orchestra belliniana che non sull’alito di estatica pronuncia della stessa, ottenuta sovente coi suoi rivoluzionari cambi metrici; ne va un pochino a scapito il celebre concertato che conclude il primo atto, condotto con commossa sobrietà ma forse privo di quel dolente, espanso slancio da cantilena siciliana che fu tra le glorie del Catanese. Nel cast vocale domina, com’è giusto, la Amina di Jessica Pratt: bella al pari di una silfide, capace di sfoderare con destrezza sovracuti e arabeschi belcantistici di rango (magari con un qualche abuso di mezze voci) e del tutto in linea col progetto belliniano. Non altrettanto immerso nell’atmosfera da elegia fiabesca che la musica pretenderebbe l’Elvino di Shalva Mukeria, ma come uscirne se non si opta per l’unica via percorribile della ricostruzione d’epoca (e che brutti poi quei suoi costumi)? La voce non sarebbe impari alle pretese della parte, che non sono poche specialmente sul versante patetico, ma la definizione finale dello sposo presunto tradito è incolore alquanto. Bene invece, a corredo del superiore talento della protagonista, il Rodolfo di Giovanni Battista Parodi, caldo colore di basso nobile, e la Lisa di Anna Viola, e sufficientemente in regola i comprimari.
Aldo Nicastro