Berg – Lulu

interpreti M. Erdmann, D. Polaski, M. Volle, T. Piffka, S. Rügamer
direttore Daniel Barenboim
regia Andrea Breth
orchestra Staatskapelle Berlin
dvd Deutsche Grammophon
prezzo 23,70

 

LUlu

Provate a immaginare uno spettacolo lugubre in cui memorie del passato, fatti presenti e presagi di futuro accadono contemporaneamente. Il disorientamento è totale, peggio di un incubo perché questa follia organizzata ha un suo rigore, una sua inevitabilità, una sua inquietante bellezza. Ebbene, ciò accade nell’edizione di Lulu di Alban Berg andata in scena nell’aprile 2012 alla Staatsoper presso lo Schiller Theater, “casa” di Daniel Barenboim, e ora disponibile in dvd per i tipi della casa discografica dall’etichetta gialla.
I personaggi sono sempre in scena, compiono gesti che c’entrano, direttamente ma anche no, con i mille segmenti dell’azione berghiana. Lulu muore alla fine, come dovrebbe, ma era già morta all’inizio. Si sente l’urlo di lei sgozzata da Jack lo squartatore prima ancora che s’alzi il sipario. Come lei, anche gli altri son già morti. Si muovono come fantasmi dentro un’installazione-spazio-espositivo-manicomio pieno di carcasse d’auto e tubi metallici atti a creare spazi e geometrie variabili, francamente incomprensibili. D’altra parte – tale sembra il messaggio della regista – l’unico ordine che le cose possono avere è psichico, quanto di più lontano dall’oggettività e dal naturalismo delle didascalie berghiane. Si respira Beckett nell’aria. Contestata da una parte della platea quando l’opera andò in scena, Andrea Breth, che nel 2011 aveva realizzato con Barenboim anche l’altro titolo di Berg, Wozzeck – si era difesa dicendo che la sua idea metatemporale non si fondava su vaghi pretesti ma era per così dire dettata dagli elementi di circolarità dell’opera, dai suoi “specchi”, dai suoi rimandi interni.
Allora sembrò che occorresse vederlo più volte lo spettacolo per venirne a capo, perché molte “azioni” sembravano appartenere a un immaginario misterioso e contorto. Ora che c’è il dvd, il rebus resta tale, anche se la messinscena continua a sprigionare un suo fascino morboso.
Molto discutibili invece i tagli del prologo e della scena di Parigi nel terzo atto, eseguito per la parte restante in una versione scritta ad hoc da David Robert Coleman. Anche questa era un’idea di Andrea Breth difficile a spiegarsi. E difficile è anche capire come Barenboim l’abbia tollerata. Con un terzo atto siffatto, restano infatti i tratti lirici e drammatici ma si perdono quelli grotteschi. Ma ciò nulla toglie alla prova sontuosa di Barenboim, che mai aveva affrontato questa partitura, e della Staatskapelle. Le qualità di un suono agile e pieno, il conio naturale dei fraseggi, la molteplicità di colori ed espressioni: in ogni suo aspetto l’esecuzione è superba, accesa, romantica, “schubertiana”, bellissima. E ciò è reso possibile anche da un ottimo cast, formato da interpreti che affrontano con naturalezza le ardue linee vocali e stanno in scena come attori navigati del teatro di ricerca. Copertina a Mojca Erdmann, una Lulu non solo intonatissima e stilisticamente disinvolta ma anche bella e seducente, come la parte esige. Ma che bene anche la Geschwitz della Polaski, il dr. Schön di Michael Volle e l’Alwa di Thomas Piffka.
Enrico Girardi

 


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