interpreti C. Dumaux, K. Bradic, R. Johannsen, F. Adami, J. Wagner, A. Noldus, Y. D’Or, E. Pons
direttore Federico Maria Sardelli
orchestra Symphony of Vlaamse Opera
regia Mariame Clément
regia video Matteo Ricchetti
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
2 dvd, 3 cd, blu ray Dynamic 33663
Il rientro del repertorio barocco nella vita quotidiana del teatro musicale è fenomeno tra i più rilevanti degli ultimi venti-trent’anni: cui però l’Italia ha purtroppo mostrato indifferenza di tanto più colpevole in quanto avrebbe l’enorme vantaggio costituito dalla lingua. Indifferenza, peraltro, che rientra in un quadro più ampio, quale ulteriore cartina al tornasole della visione distorta con cui da noi si guarda all’aspetto teatrale del teatro in musica: tale da non far percepire le ragioni in forza delle quali il repertorio barocco è tra i più adatti a raccontare la nostra contemporaneità, rivelandosi difatti di modernità sorprendente. L’ondata di tale rientro ha ovviamente portato con sé il recupero di autori da tempo relegati nei trattati di storia della musica: e Francesco Cavalli vi giganteggia, in ragione non solo delle sue alte qualità musicali, ma del loro strettissimo rapportarsi – in causa ed effetto – con una teatralità forse ancora più moderna e articolata di quella di Monteverdi.
Nell’impianto ereditato dalla grande esperienza madrigalistica – e portato ormai al massimo grado di perfezione – il recitativo s’ispessisce sempre più in ariette, canzonette, intermezzi strumentali: preludi alle arie vere e proprie, dalla complessità e varietà formale sempre crescente. Tra le quali, spicca l’assoluta peculiarità del “Lamento”. Quel tipo cioè d’arioso patetico, d’impronta monteverdiana, da Cavalli sviluppato in forme e sfumature originalissime: ivi compreso un ancora embrionale impiego di cromatismo che, per l’epoca, doveva apparire di novità non inferiore a quella suscitata a suo tempo dalla musica wagneriana. Gli episodi polifonici, sulla falsariga della copiosa produzione sacra, crescono di numero differenziando lo “stile concitato” dal suo originario impiego serioso a quello proprio d’una commedia, senza tuttavia che il trattare della passione amorosa perda minimamente di forza: anzi. E pertanto, di presa ben più immediata presso un pubblico che sempre più andava connotandosi come borghese: di cui non per caso la mercantile Venezia fu tra le maggiori incubatrici.
I ritmi di danza (passacaglia, giga, sarabanda e così via) si piegano sempre più ad esprimere tumulti emotivi: accanto al “Lamento” che non cessa di consolidare, Cavalli esplora e perfeziona il suo “ostinato” facendone strumento di straordinaria suggestione esercitata sull’intero panorama musicale contemporaneo e futuro. Il contrappunto a due voci tra canto e basso continuo, coi suoi ritmi crepitanti e le sue sinuose melodie, forma sempre più nettamente il tessuto connettivo della vicenda che può così procedere con inedita speditezza e ancor più inedita chiarezza espositiva: riuscendo non più solo ad alternare, ma ad intersecare tra loro, toni alti e bassi, comici e tragici, attingendo alla stessa complessità dei testi di Calderon o di Shakespeare. Il tutto, snellito nello strumentale: cui le ridotte risorse economiche d’un teatro ormai pubblico non consentivano più l’imponenza dei primi anni monteverdiani, supportata dai copiosi mezzi della corte. Di tutto questo, Il Giasone è esempio straordinario, connotandosi come uno dei massimi capolavori del barocco musicale: benissimo riconoscibile in questo magnifico spettacolo.
La regista Mariame Clément l’ambienta in un luogo senza tempo, sorta di spiaggia-discarica-passaggio, dove confluiscono personaggi in abiti d’una modernità oltremodo generica e quindi non vincolante, in un’atmosfera complessiva che mescola con abilità cartone animato, cinema fantasy, fumetto, soap televisiva di volta in volta sofisticata o trash: ma l’amalgama che tiene insieme tale composito mix è un’ironia corrosiva intrisa di costante erotismo. I doppi sensi allusivi, licenziosi, licenziosissimi fino allo sboccato vero e proprio, si susseguono nel testo a getto continuo: e neppure uno va sprecato, reso evidente ora da un gesto, ora da un atteggiamento, ora da un ammicco al pubblico che lo coglie al volo appunto perché il contesto generale è quanto mai nostro contemporaneo. Certo, l’aderenza fisica di ciascuno col rispettivo personaggio gioca ruolo importante, come d’altronde ormai oggi costuma con sempre maggiore frequenza (Giasone entra in scena nudo tra le lenzuola d’un letto in verticale, accarezzato dappertutto da ben quattro braccia d’invisibili femmine che spuntano come lascivi serpenti da quel vasto biancore, così da sintetizzare subito la storia, centrata su due donne che si contendono non tanto un uomo quanto proprio un maschio), ma decisivo è il modo di stare in scena. Quello cioè del teatro musicale moderno, che ha definitivamente fatto propri consuetudini e imperativi da sempre attivi del teatro di parola: facendone il maggiore discrimine tra i palcoscenici internazionali, dove difatti ci si diverte da matti, e la noia che si taglia a fette da noi, spettatori privilegiati di sfilate di moda con le parrucche e le piume in testa, tutti in posa in nome della famigerata “eleganza”, pericolo numero uno del teatro autentico.
La vicenda, d’altronde, è tutt’altra da quella classica ipotizzabile leggendo i nomi di Giasone, Medea, Egeo, Ercole. Trattasi in sostanza d’un vitellone perennemente infoiato, in fuga da Isifile (che ha messo incinta di due gemelli) per stare con Medea che a sua volta gli ha dato due gemelli, e che a sua volta ha piantato l’innamoratissimo Egeo. Tra di loro, una cinica serva mezzana; un guastafeste pasticcione, brutto e balbuziente; divinità assortite, ovvero gente benestante, annoiata e quindi intrigante; compagni di bagordi e di palestra, con corollario di ragazzette parecchio scafate che non esitano a prendere l’iniziativa e, una volta concluso, a commentare salacemente l’accaduto dando voti severissimi. La modernità di linguaggio e di situazioni, insomma, nulla ha da invidiare (anzi!) a quella d’un reality televisivo odierno: con la non lieve differenza che gesti e atteggiamenti sono da grandissimo teatro di parola, mentre il canto è su livello nel complesso ottimo, aizzato da una direzione liberissima, mobilissima, dinamicissima, e insomma teatralissima.
Nell’ambito sempre più folto e più agguerrito dei controtenori odierni, Christophe Dumaux è avviato a porsi quale sex-symbol della categoria: una sorta di Jude Law barocco, senza nulla cedere ai migliori quanto a musicalità, fermezza e qualità della linea vocale, valorizzata da una tavolozza accentale da grande commediante cui corrisponde una recitazione di pari livello. Katarina Bradic è una Medea carrozzata da pin-up, grande attrice e cantante con qualche lieve fissità di troppo, più che compensata però da una miriade d’accenti ora sensualissimi ora viperini, mai sopra le righe, sempre irresistibile. Come lo è l’Isifile di Robin Johannsen: fisico meno appariscente ma voce sontuosa emessa molto bene, è soprattutto lei la detentrice di alcuni dei più sublimi Lamenti di Cavalli, ciascuno reso un vero gioiello. Emilio Pons sfoggia voce tenorile incisiva e luminosa, dando a Egeo tratti di dolente ma mai snervata sensualità. E il folto gruppo di ruoli di contorno (nessuno men che esilarante), essenziale a che il tono da commedia cinica e corrosiva s’alimenti di continuo al pari di quanto provvede in ogni istante a fare la direzione, è sostanzialmente perfetto. Succosa ciliegina sulla saporosissima torta, le riprese di Matteo Ricchetti sono tra le sue migliori di sempre.
Elvio Giudici