Donizetti – Lucia di Lammermoor

Donizetti - Lucia di Lammermoor

interpreti S. Bonfadelli, M. Alvarez, R. Frontali
direttore Patrick Fournillier
orchestra teatro Carlo Felice di Genova
regia Graham Vick
regia video Andrea Dorigo
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Arthaus 107-215

Nato nel 1996 a Firenze, lo spettacolo di Vick sette anni dopo non stupisce risulti un po’ slabbrato, tenuto anche conto che andò in scena in mezzo ad una delle furiose contestazioni di cui il teatro genovese è indiscusso campione. Sempre bellissime, però, quelle desolate brughiere disseminate d’erica rosa su cui incombe la curva di un albero scheletrito e il globo immenso della luna; quegli interni costruiti con pareti mobili di nuvole, a racchiudere spazi interamente vuoti dove i personaggi campeggiano con accresciuta evidenza, circondati da un coro per lo più fuori, rigidi e indifferenti individui in broccati e parrucche dame; quei gesti che scolpiscono, se non caratteri (che Donizetti volutamente non definisce, preferendo stereotipi sentimentali), stati d’animo e tensioni emotive, ivi compreso un sospetto d’incesto nel rapporto morboso con Lucia di un Enrico che trova evidente sostituto in Arturo. E bella la soluzione d’un “Tu che a Dio” che Edgardo esala accanto al cadavere di Lucia con in mano un mazzo di fiori rossi, come una cerimonia nuziale con la morte: momento purtroppo sprecato dalla regia televisiva (piuttosto piatta e banale comunque), che s’ostina a inquadrare in primo piano così a lungo la figura di Lucia, da incappare ovviamente nel suo respiro e nel suo sbatter le ciglia.
Patrick Fournillier dirige tutto forte, badando più alla quadratura che all’espressione, ma con orchestra tanto sbilenca (Gesù, quell’avvio a “Soffriva nel pianto”!) arduo sarebbe tentare altro. Stefania Bonfadelli, prima della crudele malattia all’orecchio che ne ha interrotto la carriera, è bella e resa ancor più credibile da una recitazione d’alto livello, moderna e ricca di sfaccettature: vocalmente, se all’inizio pare un filo circospetta acquista poi sicurezza e pienezza di cavata, in aggiunta a una rifinitura d’accento magnifica, fino a una pazzia senz’altro da ascrivere tra quelle memorabili dell’ultimo decennio. Per qualità timbrica e caratura tecnica, Marcelo Alvarez avrebbe avuto (a parte la figura già alquanto imbolsita) ogni mezzo per essere il miglior Edgardo possibile, ove il gusto non lo tradisse spesso facendolo cadere nel verismo più trucibaldo. Roberto Frontali è un Enrico irruento e senza troppi risvolti espressivi d’altronde non granché sollecitati da un personaggio in fin dei conti unidimensionale: solidissima come di consueto, però, la linea vocale ampia, facile all’acuto, di proverbiale musicalità. Mirco Palazzi era all’epoca agli inizi, e già cantava molto bene e con grande intensità d’accento. Spaventosi, in compenso, sia Normanno che Arturo: e solo di poco meglio il coro.


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306 Novembre 2024
Classic Voice