Dvorák – Rusalka

Dvorak - Rusalka

interpreti K. Opolais, K.F. Vogt, G. Groissböck, N. Krasteva, J. Baechle
 direttore Tomas Hanus
 orchestra Bayrisches Staatsoper
 regia Martin Kusej
 regia video Thomas Grimm
 formato 16:9
 sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp., Cin., Cor.
 2 dvd CMajor 706408

Che le favole raccontino con tono affettuoso cose intessute di cupa violenza (pensiamo a quante ne capitano al povero Pinocchio), è faccenda accertata, che era solo logico attendersi fosse assunta anche dal modo di mettere in scena alcune storie a sfondo più o meno favolistico. Come questa. Già Carsen rosicchiò il bozzolo di fiaba gentile immersa in rassicuranti boschi incantati e laghetti sotto la luna, facendone emergere grovigli psicotici dove “diversità” e conflitti edipici s’intrecciano al sempre problematico passaggio esistenziale dell’adolescenza: Kusej, caratteristicamente, sceglie la strada del pugno nello stomaco. E ambienta la vicenda più o meno a Brunau, Austria: dove non solo è nato Hitler, ma dove è avvenuto il caso incredibile (ma non unico, date le analogie con quello di Natascha Kampusch) d’un padre che ha segregato per vent’anni in cantina la figlia, avendone ben sette figli. In un tinello affacciato su di uno splendido panorama lacustre con verdi montagne tutt’intorno, lo Spirito delle acque e la strega Jezibaba sono dunque sposati; in una cantina col pavimento coperto da un velo d’acqua, e dove una lampada accesa può parere bella come la luna, sono segregate sette ragazze, una delle quali si chiama Rusalka e vuole fuggir via per andare nel mondo; la madre glielo concede, ma l’esperienza è traumatica: abituata com’è solo a strisciare e stare accoccolata a terra, non solo fa una patetica fatica a camminare barcollando sui tacchi alti di scarpette rosse, come una cerbiatta appena nata (che tutt’intorno uomini e donne cacciano e scuoiano), ma il suo traumatico passato la rende incapace di parlare e dunque di relazionarsi con chiunque, nessuno in grado di comprendere l’intensità delle sue passioni espresse in modo troppo personale, segnale essendone la sua continua necessità di cospargersi d’acqua per non boccheggiare. Nessuna redenzione è possibile: la polizia entra nell’abitazione maledetta e libera le ragazze, ma solo per consegnarle tutte a un istituto psichiatrico nel cui asettico biancore vagano catatoniche, rimpiangendo il buio in qualche osceno modo protettivo da cui sono state fatte uscire con un ennesimo atto di violenza. Lucida, coerentissima, ogni nota un gesto, ogni gesto significativo d’una situazione, ogni situazione allacciata strettissimamente all’altra e resa tappa conseguente d’una evoluzione psicologica: grande regia, senz’altro la migliore d’un artista discusso, disuguale ma senza alcun dubbio teatrante autentico.
Hanus dirige con un rigoglio melodico portato al calor bianco, sostenendo nel migliore dei modi un cast che migliore è difficile anche solo immaginarselo. Kristine Opolais, la giovane e bellissima lettone moglie del direttore d’orchestra Andris Nelsons, è subentrata all’ultimo minuto alla prevista Nina Stemme che certo non avrebbe mai potuto costruire simile personaggio, evidentissimamente costruitole da Kusej come un abito d’alta sartoria: recitazione portentosa, carisma a pacchi, linea vocale tesa come una corda d’acciaio che soprattutto in alto (al centro e in basso si nota qualche zona opaca o addirittura vuota) trova riflessi luminosi dove ghiaccio e fuoco paiono convivere lottando di continuo per sopraffarsi, entro un fraseggio articolato e sfaccettato all’inverosimile ma soprattutto adeso in modo assoluto al gesto e all’atteggiamento scenico. Com’è noto, nel second’atto Rusalka è sempre in scena ma non canta: sfida formidabile per l’attrice, che laurea la Opolais presenza tra le massime della scena teatrale internazionale. Ma il resto del cast non è da meno. Formidabile il “padre” Günther Groissböck, di tanto più terrificante in quanto i suoi gesti sono minimi, la quotidiana normalità rivelandosi portatrice d’orrori ancor più senza nome, espressi da un canto quasi colloquiale, sfrangiatissimo, qua e là perfino oscenamente affettuoso. Klaus Florian Vogt canta con una robusta e luminosa dolcezza che fa dimenticare la relativa uniformità dell’accento: e la figura l’aiuta a rendere sempre credibile la figura del fatuo playboy. Nadia Krasteva è un mezzosoprano che arranca un po’ in una tessitura chiaramente sopranile, ma la sua figura è perfetta per la procacità rapinosa e carnosamente volgare della Principessa. Ottima la Jezibaba di Janina Baechle, e coro superbo in ogni suo intervento scenico e vocale.

di Elvio Giudici


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306 Novembre 2024
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