interpreti G. James, C. Pohl, D. Kaiser, P. Bach Nissen direttore Johannes Debus regia Johannes Erath coro Prague Philharmonic Choir orchestra Wiener Symphoniker teatro Bregenz Festival regia video Felix Breisach dvd Cmajor 751408
Berthold Goldschmidt (1903-1996), che era stato allievo di Schreker, aveva conseguito un buon successo nel 1932 con la sua prima opera Der gewaltige Hahnrei (1929-30 da Le cocu magnifique di Crommelynck). Era ebreo, e dal 1933 l’ascesa al potere dei nazisti ne interruppe la carriera. Nel 1935 si trasferì in Gran Bretagna e nel corso degli anni ’80 fu oggetto di attenzione nell’ambito della riscoperta dei perseguitati autori di “musica degenerata”, anche se Goldschmidt fu sempre saldamente ancorato alla tradizione, nella prima e forse ancor più nella sua seconda opera, Beatrice Cenci. Iniziata nel 1949, vinse nel 1951 l’Arts Council Prize al Festival of Britain; ma non fu né eseguita per intero né rappresentata fino al 1988. Composta in inglese su libretto di Martin Esslin, tratto con abilità da The Cenci di Shelley (con necessari forti tagli; ma conservandone dove possibile il testo), ebbe un certo successo in Germania nella traduzione tedesca curata dallo stesso compositore. Dopo la valida registrazione Sony dell’originale inglese, pubblicata nel 1995, esce ora il primo dvd, con la versione tedesca ripresa dal vivo al Festival di Bregenz nel 2018. Nella Roma della fine del XVI secolo la scelleratezza di Francesco Cenci era una fonte di reddito per Clemente VIII, perché il nobile romano ne comprava l’assoluzione con ricche donazioni. La figlia Beatrice, da lui stuprata, e la seconda moglie Lucrezia furono condannate per averlo fatto assassinare nel 1599; ma la loro morte suscitò enorme emozione perché erano due vittime che, ridotte alla disperazione, si erano difese. E come vittime sono presentate nella tragedia di Shelley e nell’opera di Goldschmidt, che suscita una strana impressione: potrebbe quasi appartenere agli anni trenta; ma in realtà risente della forzata interruzione del naturale svolgimento della carriera dell’autore. Si nota in primo luogo una solida e densa scrittura orchestrale postmahleriana e postbruckneriana, e qualche momento di felice invenzione melodica. Fu concepita in inglese; ma non perde molto nella traduzione tedesca, perché non si avverte nell’invenzione vocale uno stretto rapporto con la lingua originale. Con tutti i suoi limiti la musica, soprattutto nel III atto, ha una discreta efficacia, e la direzione di Johannes Debus la valorizza con sicurezza. Valida la compagnia di canto, dominata dallo sciagurato conte Cenci del bravissimo Christoph Pohl. Gal James coglie in modo adeguato la varietà di accenti richiesta dal personaggio di Beatrice (dalla fierezza alla rassegnazione), e Dshamilja Kaiser è una buona Lucrezia. Anche gli altri offrono discrete prove: citiamo almeno il tenore Michael Laurenz nella parte di Orsino, l’ambiguo prelato di cui Beatrice è innamorata, e Per Bach Nissen, il cardinale Camillo.
La disinvolta regia di Johannes Erath sceglie una chiave grottesca e sostanzialmente atemporale: i costumi potrebbero essere parodie di vesti cinquecentesche, ma si vedono spesso anacronistiche pistole. Non si capisce perché la povera Beatrice sia presentata come un orrendo bambolotto dalla debordante chioma rossa. In generale una certa disinvolta efficacia nel raccontare la vicenda in chiave comico-grottesca rivela un distacco dalla materia del fosco drammone e non ne risparmia le vittime. L’ipocrisia di Orsino (il prelato amato da Beatrice, che nell’opera, come in Shelley, la inganna con promesse di matrimonio, la aiuta organizzando l’uccisione dell’orrido Cenci, e si dà poi alla fuga) viene dal regista in qualche misura corretta facendolo suicidare dopo la morte di Beatrice (che nello spettacolo è uccisa in scena con il veleno): un arbitrio inutile, tuttavia poco rilevante.
Paolo Petazzi
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