interpreti I. D’Arcangelo, A. Concetti, M. Papatanasiu, C. Remigio, M. Miller, M. Bisceglie, W. Corrò, E. Iori direttore Riccardo Frizza orchestra Regionale delle Marche regia Pier Luigi Pizzi regia video Davide Mancini formato 16:9 sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.,Cin.,Cor.,Giap. 2 dvd C-Major 717408 prezzo € 39,20
Una buona direzione: che non pretende d’aprire chissà mai quali nuovi orizzonti, però è incalzante, varia, incisiva, astuta nel privilegiare tempi spediti che non mettono troppo alle corde un’orchestra molto diligente e impegnata, ma non proprio eccelsa. Racconta insomma benissimo, Frizza, una storia senza troppi sottintesi o rimandi al Mito: Don Giovanni va verso il playboy piacione e scavezzacollo, che mentre dà l’assalto a una ragazza fa già l’occhiolino all’altra e anziché mielate parole va giù di mano sotto la gonna, senza peraltro incontrare troppa resistenza dato l’indubbio fascino che possiede la fisicità debordante di Ildebrando D’Arcangelo. Perfetta sintonia con Pizzi, d’altronde.
Anche dopo tanto tempo e lavoro, non mancano le occasioni per Pizzi di dimostrarsi l’eccelso scenografo che è. Lo spazio lillipuziano viene impiegato con l’intelligenza e il gusto che da sempre formano la sua cifra subito riconoscibile. Palcoscenico ricoperto da un altro, fortemente inclinato in avanti che al proscenio termina quindi con un’apertura molto stretta ma sufficiente a contenere una figura sdraiata, così da risolvere tutti i problemi degli “a parte” e dei nascondimenti, nonché le apparizioni demoniache finali, rappresentate da uomini e donne nudi che lo afferrano, lo azzannano, lo avvolgono e infine spariscono con lui. Il fondo è aperto sul vuoto, consentendo controluce molto suggestivi: come l’apparizione di Elvira, lei e le sue valige silhouettate su un bianco abbagliante, così da suggerire un arrivo da remote lontananze. La quinta sinistra e il soffitto sono a specchi scuri leggermente sfalsati, che scompongono i riflessi dei palchi settecenteschi del teatro. Le luci sempre soffuse creano atmosfere pittoriche subito riferibili agli interni settecenteschi delle tele di Boucher e Watteau. Un rigido sipario cremisi passa e ripassa segnalando il mutare degli ambienti, definiti da un solo oggetto (sedia, canapè verdolino, ma soprattutto un onnipresente grande letto: il biancore delle cui lenzuola è allora la principale fonte di luce della scena). Siamo magari al grado uno dell’esplorazione psicologica dei personaggi e dei reciproci loro legami, istituiti attraverso la figura cardine di Giovanni, che di quel letto è l’incarnazione trovandocisi quasi sempre e su di esso dialogando con gli altri: metafora ovvia, però senz’altro chiara, e in definitiva pertinente; così come sempre nitido ed evidente è il succedersi delle situazioni. Inoltre, l’aver scelto una compagnia di giovani e giovanissimi tutti di aspetto oltremodo gradevole, consente a Pizzi d’impostare una gestualità scatenata: con profluvi di vestimenti e svestimenti, mani che toccano e spogliano, corpi che si esibiscono, sguardi che s’intrecciano, in una girandola continua spinta talora al parossismo. Cast tutto giovane, dicevo: ma occorre aggiungere subito che a dar senso a questo dvd è che si tratta di cast vocalmente tra i migliori messi su negli ultimi decenni.
D’Arcangelo. Splendido il timbro brunito e pastoso; magnifica la linea nel mix di morbidezza, solidità, estensione sopra e sotto senza che mai si leda la superba compattezza e uguaglianza di un’emissione d’appoggio e proiezione perfetti; musicalità di livello strumentale; la mirabile scolpitura della dizione favorisce un gioco d’accenti altrettanto mirabile, vario, acuto, interessante.
Concetti: tra i migliori Leporelli di sempre per lo scavo certosino della parola senza che lo scavo minimamente s’avverta, riassorbito nella linea che l’ottima tecnica rende solida, incisiva ma ovunque morbida, omogenea, duttile come argento vivo. Ma è l’interprete, che soprattutto conta: quello in cui il fraseggio fa sparire il lavorìo tecnico nella costruzione d’un personaggio di verità teatrale eccezionale. Esempio perfetto, il suo, della differenza che intercorre tra dizione e accento: perfetta quella, è questo a darle il suo esatto significato musicale. Un solo esempio tra i mille: l’aggettivo “cruscante”, con le sue nove lettere di cui solo tre vocali, se non sai far “cantare” le consonanti sarà sempre un borborigmo anziché schioccare con tutta la sulfurea ironia che ascoltiamo qui (Inciso: mica tempo perso, lo studiare con Bruscantini…).
Terzo elemento di spicco, Carmela Remigio. Debuttante in Elvira dopo essere stata una delle Anne migliori dell’epoca moderna (perché nessuna più di lei mi pare sia riuscita a risolvere in fiamma d’accento il virtuosismo della scrittura più belcantistica dell’opera). Bellissimo timbro – la seducente brunitura del quale è particolarmente consona a Elvira – espresso da linea vocale priva d’alcuna asperità perché sempre galleggiante su di un fiato controllato e proiettato benissimo, duttile materia per un fraseggio incandescente solcato da venature di sensualità di tanto più debordante in quanto chiusa in un involucro di compostezza.
Molto brava Manuela Bisceglie, spigliatissima in scena e capace d’un canto morbido, avvolgente, assai ben controllato. Un po’ al di sotto la Papatanasiu, voce metallica e con diversi stridori in alto compensati però da un fraseggio tagliente e temperamentoso. Solito problema di tanti Don Giovanni, Ottavio: voce dura, ribelle ai tentativi di ammorbidirla o d’immetterle qualche colore lavorando di dinamica, il bloccarsi in gola provocando fissità e diversi problemi d’intonazione. Bene soprattutto scenicamente Corrò e Iori.
Elvio Giudici