interpreti M. Schmitt, C. Landshamer, T. Olemans, I. Martinez, B. Sherratt direttore Marc Albrecht orchestra Netherlands Chamber regia Simon McBurney regia video Misjel Vermeiren formato 16:9 sottotitoli Ing., Fr., Ted., Ol., Giap., Cor. dvd Opus Arte 1122D
Sempre lo stesso, il problema da risolvere volendo affrontare il Flauto: favola o racconto morale? E se favola, un sottoproblema: per bambini o per adulti che vogliano conservare qualcosa della freschezza e della concretezza immediata proprie dell’età infantile? Ma se apologo morale, centrato sulla presa di coscienza di cosa significhi e cosa comporti il diventare adulti, allora: si punta a evidenziare tutti i simboli massonici distribuiti a pioggia su testo e ancor più partitura, oppure ci si affida alla straordinaria capacità affabulatoria di Mozart mettendo in primo piano il racconto, ovverosia il testo, proprio quanto neppur troppo velatamente s’è sempre additato quale punto debole. McBurney, sia lode agli Dei del teatro, va con decisione per quest’ultima strada, e – dopo la superba regia di Cuore di cane – torna all’opera nel 2012 regalandoci uno splendido Flauto che Amsterdam ha coprodotto con l’English National Opera e col festival di Aix.
L’orchestra sollevata quasi al livello della platea sottolinea l’intento di utilizzare la musica come filo narrativo: logico pertanto che Tamino non suoni il flauto e Papageno il Glockenspiel ma li facciano suonare entrambi da un professore d’orchestra, nel caso porgendoglieli. Poi, gli arnesi di teatro impiegati fin dai suoi albori per quanto oggi definiamo effetti speciali, sono in piena vista (Giorgio Strehler non si stancava mai di teorizzare la bontà di tale assunto, anche se spesso se ne scordava, specie negli ultimi anni), sicché in ultima analisi abolita è ogni divisione tra orchestra, tecnici, attori, danzatori e spettatori: ai due lati del palcoscenico, su di un tablet si compongono effetti grafici che vengono ingigantiti su di uno schermo; e all’altro lato, una consolle provvede a tutta una serie di rumori di scena o spezzoni musicali dispiegati con rara accortezza musicale e ancor più rara sagacia teatrale come accompagnamento alle parti dialogate o come preparazione all’entrata dell’orchestra. Ma diversi altri suoni del regno animale compaiono in momenti giusti.
Ogni personaggio, all’infuori di Tamino e Pamina, è circondato da figuranti della compagnia di McBurney – la formidabile Complicité, fondata nel lontano 1983 – che ne amplificano la funzione narrativa. Asse portante dell’impostazione è fare del contrasto tra Regina e Sarastro non solo la metafora del Male contro il Bene, ma del Vecchio contro il Nuovo: e se quello perde clamorosamente, questo non vince (i seguaci del Sole della Ragione, alla fine, si prostrano davanti ai due giovani). Vince la coppia giovane, perché dalla sua ha l’amore e l’aver compreso come si possa viverlo: e sono quindi loro che hanno in mano il futuro.
Albrecht si conferma bacchetta tra le più autorevoli di oggi: abilissimo il mix tra strumenti antichi e moderni (corni e trombe naturali, timpani antichi, tromboni barocchi), contrastatissima la dinamica, serrato e sempre pulsante il sottofondo ritmico, estrema fantasia nel mescolare certi coloriti timbrici, ma soprattutto un evidente piacere nel raccontare, che è Mozart della più bell’acqua. Cast senza grossi nomi internazionali, dove l’attore talora prevale sul cantante (Iride Martinez, impressionante a vedersi, è in difficoltà con la scrittura della Regina; e il Sarastro di Brindley Sherratè esilino parecchio , ma con un ottimo Tamino in Maximilian Schmitt, un irresistibile Papageno camp in Thomas Oliemans e un’affascinante Pamina – quantunque esilina pure lei in Christina Landshamer.
Elvio Giudici