Offenbach – Les Contes d’Hoffmann

interpreti M. Spyres, K. Kim, N. Dessay, T. Pavlovskaja, L. Naouri, M. Losier, F. Vas,
C. Chausson, S. Cordón
direttore  Stéphane Denève
orchestra e coro Gran Teatre del Liceu di Barcellona
regia e costumi Laurent Pelly
regia video Charles Carcopino
2 dvd Erato 2564636914
prezzo € 20,20

concerto-hoffmann---erato

Per antiche superstizioni e per recenti scoop musicologici non v’è opera al mondo che abbia subìto il cabalistico destino dei Contes d’Hoffmann, essere l’unica di cui è impossibile ricordare una  realizzazione teatrale che sia stata simile alla precedente e alla successiva. Questa che arriva dal Gran Teatro del Liceu di Barcellona, ove è apparsa nel 2013, è à la page con tutti i ritrovati della moderna filologia fondandosi sui nuovi materiali scoperti da Michael Kaye e da Jean Christophe Keck e confluiti nella recente edizione critica della Schott. Risultato: non un’opera nuova ma quasi, in cui si ascolta (specie nella cornice di Prologo ed Epilogo e nel quadro veneziano) circa un’ora di musica sconosciuta e si recuperano i parlati del “comique” che Offenbach aveva preteso in prima battuta.
Pare indubbio che in tale fisionomia i Contes acquistino una omogeneità drammaturgica e un profilo d’autore di più marcato conio; ma qui fa d’uopo discutere soprattutto della realizzazione barcellonese, che è di straordinaria presa teatrale ancor prima che di ottimo riscontro musicale; la direzione d’orchestra di Sthéphane Denève mi sembra cogliere con levità di mano la trovata principe di Offenbach, che è quella di adattare toni e ritmi di operettistica canaillerie  a una trama che resta  preda del Surreale e del Beffardo. E il cospicuo stuolo di cantanti adoperato pare discretamente all’altezza sul piano puramente vocale e davvero imperfettibile su quello dell’adesione scenica: il tenore Michael Spyres, ad esempio, è un poeta Hoffmann uscito dritto dritto dalle pagine di Musset e Lamartine e poco importa che lo squillo sia un po’ carente; Natalie Dessay presta indiscussa tecnica di canto a un’Antonia di affaticato languore, Laurent Naouri si svela la sorpresa maggiore nella quadruplice veste demonica di Lindorf, Coppélius, Miracle e Dapertutto, Kathleen Kim fa mostra di sovrano equilibrismo senza rete quale Olympia, Michèle Losier ha tratti degnissimi nella doppia parte di Nicklausse e della Musa e Tatiana Pavlovskaja è infine convincente Giulietta.
Dove questa realizzazione esibisce i suoi titoli di maggior fascino è però nella formidabile regia di Laurent Pelly. Assecondando la formula del trucco che è costantemente in agguato nell’invenzione offenbachiana, Pelly immagina suggestive situazioni di valenza del Doppio quali, ad esempio, il mutarsi della Muse in Nicklausse nel Prologo e la perdita del riflesso di Hoffmann nello specchio di Giulietta nel quadro veneziano. E soprattutto, colpo di teatro supremo, una torva teoria di corridoi e scale in grigio a definire la casa del Consigliere Crespel in guisa di Maison Usher, nella quale è arduo scoprire il trucco se non si accede al continuo alternarsi di luci e ombre che ne costituiscono l’ossatura. Una lettura che unisce lo chic alla densità dei contenuti senza strafare con soluzioni da acchiappamerli quali l’odierna tabulatura registica esige; ma, come tale, fra le maggiori che mi sia accaduto di registrare in data odierna. L’unico appunto riguarda lo scarno booklet del cofanetto Erato: nessuna notizia interna sull’edizione Schott adoperata, e sì che era ben lecito pretenderlo, e la mancanza di un indice che riporti almeno i numeri dell’esecuzione con accanto il nome dei personaggi. Un autolesionismo di incomprensibile portata.
Aldo Nicastro

 

 


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