interpreti P. Petibon, R. Plowright, S. Koch, V. Gens, S. Piau, T. Lehtipuu direttore Jérémie Rohrer orchestra Philharmonia regia Olivier Py regia video François-René Martin formato 16:9 sottotitoli Ing., Fr., Ted. 2 dvd Warner 46220694 prezzo € 20,20
Soffre parecchio, questo video, dal confronto ravvicinato con quello che l’ha di poco preceduto, documento dello straordinario spettacolo monacense di Tcherniakov sostenuto dalla direzione non meno straordinaria di Nagano. Qui il livello è decisamente più ordinario. Py, idolo della Francia teatrale e attuale direttore del festival d’Avignone (per condurre il quale ha annunciato che non farà altre regie dopo di questa), imposta una narrazione asciuttissima, tutta racchiusa in un involucro ligneo dalle pareti mobili il cui comporsi e scomporsi scandisce i diversi snodi. Sul fondo di tale contenitore, spiccano i primi due ideali rivoluzionari piegati alla regola carmelitana: “Liberté en Dieu” e “Egalité devant Dieu”. La Fraternité che manca è l’epilogo della via crucis rappresentata dalla Storia: quando quello stesso fondo sparisce davanti a un cielo trapunto di stelle, così che l’esecuzione delle carmelitane riceve le stimmate del martirio e questo assume il significato di fraterna comunione universale. Quanto alle varie stazioni di tale via crucis, sono riassunte da quadri viventi tra rudimentali oggetti lignei (Annunciazione, Ultima Cena in cui Constance prende il posto di Gesù, Crocifissione) e da una recitazione che via via articola il contorto amore di due fratelli (il confrontarsi di Blanche col Cavaliere è di particolare incisività); l’agonia disperata di un’anima perduta; la gioia pura d’un quotidiano laborioso; la fierezza che accomuna la dignità di casta di Mère Marie e di Madame Lidoine: in tutti i quadri, s’indirizza non alla matericità del gesto bensì allo sfumato dello sguardo e della composizione plastica complessiva, in ottemperanza alle intenzioni di Poulenc d’un teatro di pulsioni interiori e di riflessioni su determinati eventi spirituali, anziché di quadro storico. Con però la vistosa eccezione della morte della Vecchia Priora, in cui Py paga pegno visibile al Robert Carsen di Rusalka e al Richard Jones di Dama di picche: mostrandocela su di un letto in verticale, a contorcersi in una luce biancoazzurra in un’agonia di marcata impronta verista conclusa da braccia allargate che la rendono una crocifissione.
In non piccola contraddizione con l’ascetica purezza della scena, Rohrer – forse un po’ sbilanciato dal dirigere stavolta non la sua Cercle de l’Harmonie bensì una Philharmonia dal suono particolarmente sontuoso – dirige con un vigore che spesso sconfina nell’enfasi, e con un’incisività dai profili parecchio angolari e ruvidi. Nel cast, primeggia la Gens che dona a Lidoine la plastica declamazione della grande tragedia raciniana. Sophie Koch sfuma per mio conto troppo i contorni di Mère Marie (senza dubbio la figura-chiave per comprendere il senso della storia così come impostata da George Bernanos dalla cui sceneggiatura per un film allora non girato Albert Béguin trasse il testo teatrale che Poulenc ha volto personalmente in libretto), accentuandone il coté aristocratico ma eliminandone la rocciosa, quasi implacabile durezza derivatale da una convinzione adamantina. La Petibon è fragilina come al solito al centro, dura più del solito in alto, e sempre con quella sua emissione “dritta” che ha la fissità dietro l’angolo: riesce tuttavia spesso a farlo dimenticare col fraseggio ardimentoso e una mimica mobilissima che il primo piano enfatizza con ottimi risultati. Inascoltabile il Cavaliere di Lehtipuu, nasale e sempre più evanescente man mano la tessitura sale. L’errore capitale è però la Rosalind Plowright della Vecchia Priora, che canta Poulenc un po’ come la Gruberova scempia Donizetti: bofonchia degli inarticolati borborigmi in basso, urla scompostamente in alto, fraseggia con un verismo di suo personale e sguaiatissimo conio, e insomma fa d’un tragico personaggio una grottesca macchietta.
Elvio Giudici