Puccini/Britten – La Bohème

Puccini/Britten - La Bohème

[interpreti] M. Lincoln, G. Mackay-Bruce, D. Knock, I .Jervis, M. Kesselman
[orchestra] strumentisti vari
[regia] Tony Britten
[regia video[ Tony Britten
[formato] 16:9
[sottotitoli] nessuno
[dvd] Signum Vision 004

Due numeri fa ho avuto modo di parlare della compagnia Music Theatre London: una sorta di Opera Pocket per la quale Tony Britten ha tradotto il Falstaff di Verdi arrangiandone la musica per dieci elementi. Operazione analoga l’ha condotta su Bohème: e con analoga felicità di risultati. Niente coro, ambientazione la Londra moderna, Rodolfo aspirante scrittore di teatro, Mimì non più tisica bensì persa nel gorgo della droga, come apprendiamo da un rapido intermezzo tra secondo e terzo quadro, quando dopo una notte d’amore la vediamo alzarsi di nascosto e prepararsi una dose, nonché allontanarsi dal pub dov’è in compagnia degli amici per seguire un pusher che le ha fatto cenno.
Quello che immediatamente colpisce, è come anche da un contesto musicale che di per sé sarebbe prossimo al musical, basti ben poco per spazzar via ogni traccia del nefasto puccinismo in cui ad esempio il bruttissimo musical Rent stava immerso fino al collo. La gestualità quotidiana d’una recitazione asciutta e priva d’ogni enfasi, che si potrebbe benissimo replicare sul palcoscenico lirico, dimostra quanta forza teatrale possieda una vicenda insensatamente accusata di zuccherosa melensaggine. Così come, proprio perché prosciugate dall’impetuoso erompere degli archi e armonicamente stenografate, se ne comprendono anche meglio le strutture interne e, con esse, la genialità con cui la scrittura sa piegarla a un dialogo teatrale che Puccini è l’unico tra gli operisti del Novecento – non  solo italiani – ad aver raccolto da Verdi e ad aver portato più avanti lungo vie diverse ma altrettanto valide. Inutile sottolineare quanto recitino tutti da padreterni, e quanta musicalità ne regga il canto (fa un po’ soffrire solo il registro acuto vetroso e acidulo di Mimì, ma pazienza): teatro di grandissimo livello, dunque, come già nel caso del precedente Falstaff. In entrambi i casi, tuttavia, s’è costretti a segnalare la grave mancanza di qualunque sottotitolo: quantunque eccellente sia la dizione di ciascuno, aver sott’occhi il testo inglese gioverebbe assai.

Elvio Giudici


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306 Novembre 2024
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