interpreti J. M. Lo Monaco, P. Bordogna, R. de Candia, M. Mironov, N. Ulivieri, E. Cilli, A. Volpe
direttore Evelino Pidò
orchestra Fondazione Petruzzelli
regia Daniele Abbado
regia video Adriano Figari
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
2 dvd Dynamic 33662
Non è lo spettacolo migliore di Daniele Abbado, benché l’idea di fondo sia lodevolissima: eliminare drasticamente ogni aspetto favolistico alla Disney, sia in quanto tale sia nel suo travestimento pseudosurreale (sul genere degli orrendi toponi pagliacci dei Comediants diretti da Joan Font), facendo però piazza pulita anche d’ogni Settecento elegantino e caccoloso che un trentennio e passa dell’allestimento di Ponnelle hanno reso ormai insopportabile. Realismo, quindi: evviva. Niente, a ben vedere – e a rileggersi Mondo incantato di Bruno Bettelheim – è più realistico d’una fiaba o, più in generale, di quel complesso di fiabe che la mitologia classica ha codificato: recuperare quindi, trasferendole quasi ai giorni nostri, le radici di popolare realismo d’area partenopea da cui ha tratto origine la storia di Cenerentola, significa arricchire enormemente una drammaturgia altrimenti confinata alla macchietta. Ma il realismo, per funzionare deve essere reale. Se lo mescoli con simboli o, peggio, segni teatrali stranianti tipo scale che calano dall’alto, pareti che si aprono per far protrudere strane passerelle sospese, gesti di significato polivalente, ne nasce un guazzabuglio: e una misera cucina di formica gialla coi pensili che viene sballottata in tante posizioni al centro d’una immensa scena vuota e grigia, diventa un rimedio intellettuale peggiore del buco vecchio rappresentato dal caro vecchio camino col paiolo della polenta appeso.
C’è un personaggio, però, che questa regia trasforma radicalmente, e parecchio in meglio: Magnifico. Un guappo da strapazzo, malvissuto e quindi intriso di quella cattiveria piccina propria dei sostanziali perdenti, servile coi grandi, meschino coi piccoli, ma anche troppo poco intelligente per capire chi è davvero grande e chi invece fa solo finta. Non è facile a farsi: ma Paolo Bordogna, oltre a sfoggiare fior di voce ampia, solida, timbratissima (sono assegnate note anche molto acute, a Magnifico: non è male, per una volta, sentirle così incisive e ben tenute anziché alla mordi e fuggi), dispiega una tavolozza sorprendentemente ampia di accenti e sfumature, componendo una vera sinfonia della cattiveria meschina, sottolineandola con gesti misurati, secchi, che colgono sempre il segno e lo confermano attore tra i più talentuosi che la commedia musicale possa oggi sperare. Gli fa da contraltare perfetto Roberto de Candia. Anche nel caso di Dandini, l’abbandonare ogni stereotipo affettato del servo che si finge principe in favore d’un bullo ruvido e godereccio, è sorprendente quanto si scopra calzante con la scrittura musicale: specie se cantata con tale effervescente vivacità, di conserva a un gioco scenico tutto in sottrazione, che proprio per questo si sarebbe giovato dell’assenza di alcuni eccessivi lambiccamenti registici.
José Maria Lo Monaco migliora di spettacolo in spettacolo: il timbro è molto bello, la musicalità eccellente, la linea sta trovando una brunitura e un’omogeneità ragguardevoli, così come assai ben sgranata è la coloratura; qualche rifinitura in più nel fraseggio e, possibilmente, maggiore disinvoltura in scena (specie dovendo stare al fianco di due mostri come questi suoi colleghi), e avremo una Cenerentola di tutto rispetto. Maxim Mironov ha vocina esile e bianchiccia, molto educata ma parecchio anonima, in aggiunta a una coloratura troppo intirizzita per un’aria come quella di Ramiro al second’atto. Discreta la Tisbe di Alessandra Volpe ma magnifica la Clorinda di Eleonora Cilli, che oltre a cantare con ottima incisività e ricchezza d’accenti viperini, lascia perdere ogni mossetta del secolo passato ma all’insegna d’uno sgradevole realismo costruisce una “vera figlia del Barone” dura e puntuta di grande efficacia.
Pidò dirige con l’usuale impeccabile professionalità un’orchestra di recentissima formazione, molto giovane nella stragrande sua maggioranza (quasi la metà proviene dai ranghi della Cherubini di Muti): valore che paga subito ottimi dividendi nel percettibile entusiasmo che circola in ogni piega d’una narrazione vivace ma la cui effervescenza sempre s’accompagna a un’eccellente pulizia, luminosità e morbidezza del suono. Al momento, di fatto una delle migliori orchestre italiane.
di elvio giudici