interpreti E. Johansson, M. Lipovsek, M. Diener, A. Muff direttore Christoph von Dohnanyi orchestra dell’Opera di Zurigo regia Martin Kusej regia video Felix Breisach formato 16:9 sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp. dvd Arthaus 107297
Corridoio in prospettiva frontale, dal pavimento terremotato su cui poggia una moltitudine di porte imbottite attraversate da folla perennemente infoiata e con gradiente variabile di vestiario (le mutande, segno distintivo ovvero fissazione di Kusej, una volta di più sovrabbondano), tra segni evidenti d’alienazione mentale. Lingerie, calze nere e abiti da sera moderni, indossati da gente variamente grottesca ivi comprese delle drag queen: ad affollarsi attorno a un’Elektra punk in pantaloni, giubbino giallo con cappuccio e scarpe da ginnastica. Può essere che lei sia matta in una casa di cura, e tutto quanto la circonda sia una proiezione della sua psiche malata, ma non è affatto chiaro e probabilmente non è così. Simbolismo comunque spicciolo (Elektra, nel disseppellire la scure, seppellisce una candida fanciullina alias la propria innocenza) s’alterna a quiz d’ardua soluzione. Egisto va ad esempio in giro con una pistola, minaccia tutti ma nessuno gli bada più di tanto. Elektra, nel colloquio con la madre le scioglie delicatamente la chioma. Oreste compare in mezzo a vapori di nebbia come in un film genere splatter di second’ordine. La danza finale d’Elektra avviene tra ballerini di samba in argentei costumi – ridotti – sormontati da piume chilometriche: cosa che farebbe propendere per la storia quale incubo di Elektra pazza, con tuttavia grave vulnus inferto alla sua tragicità dato che un caso clinico tutt’al più commuove, ma difficile è attribuirgli altra statura. Il tutto, nel quadro d’una gestualità che per essere spicciola finisce con l’esser minimalista: e, di conserva alla singolare mancanza di carisma da parte di tutti, rende la storia una tiritera abbastanza noiosa raccontata da gente pochissimo interessante.
La direzione è molto precisa, molto nitida, molto poco espressiva. Il canto è una sorta di sfilata di zanzarine vocali a oscillogramma espressivo piatto: Melanie Diener non si sente; Eva Johansson di Elektra non ha praticamente nulla a cominciare dalla voce (bruttina, aguzza, esile, malissimo emessa perché tutta spinta da frenetiche contrazioni di gola) e a finire con l’accento, banale oltre ogni dire; Marjana Lipovšek una volta cantava non male, ora parla soltanto e neppure troppo bene; Alfred Muff è un Oreste fuori tempo massimo sia come fisico che come voce.
Elvio Giudici