interpreti C. Barker, C. Carby, E. Pearson, M. Hemm, W. Fyfe, H. Choo, J. Dark, A. Brunsdon
direttore Andrew Litton
orchestra Australian Opera
regia Brian FitzGerald
regia video Cameron Kirkpatrick
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Opera Australia 56026
Ecco un esempio palmare di cosa possa essere il teatro inteso all’anglosassone. Nessuna scossa drammaturgica, nella regia dell’australiano Brian FitzGerald, bensì l’organizzazione perfetta d’un modo di stare in scena che chiama in causa il bagaglio attoriale al gran completo: mimica, controscene, recitazione, atteggiamento, modo di muoversi e ancor più d’atteggiarsi. Le mani che non sono d’impaccio bensì sanno farsi strumenti espressivi sempre diversi e soprattutto sempre adeguati. Il camminare che non è un dare aria ai costumi bensì altrettanti modi d’essere d’un personaggio. Le controscene che punteggiano la situazione moltiplicandone i punti di vista oppure che definiscono un ambiente (nel levée della Marescialla, cosa riesce ad essere e soprattutto a fare – non facendo cioè niente, solo lavorando d’occhi e di muscoli facciali – Struhan, un Maggiordomo in puro stile Jeeves!); il guardare fisso in avanti imprimendo alle labbra un lieve sorriso che mette in vista tutto quanto la musica si sforza di definire; una generale, indefinibile eppure ovunque avvertibile scioltezza che pare interamente spontanea ed è frutto di forsennato lavoro: sembra d’essere in uno dei tanti e invariabilmente eccelsi sceneggiati in costume della BBC, sistematica adunata di tutti i più grandi attori e caratteristi della scena inglese. I nomi che compongono questo cast dicono probabilmente poco, anche perché tutti stanziali d’un teatro situato all’altra parte del mondo. Teatro che però ha perfettamente compreso quanto sia oggi importante il video: ha costituito una propria etichetta discografica, chiama ottimi registi video, registra quasi tutte le migliori produzioni, ampliando con costanza, lungimiranza ma soprattutto intelligenza il repertorio. Il risultato è un Cavaliere che dà parecchi punti ad altre produzioni uscite da teatri assai più blasonati, dimostrando come spesso il blasone viva sul proprio passato ben più del proprio presente.
Cheryl Barker me la ricordavo ancora acerba Mimì nello spettacolo firmato Baz Luhrmann: è cresciuta mirabilmente, e la Marescialla la canta molto bene, la recita anche meglio, l’interpreta insomma con una finezza, una scioltezza, una spontaneità che non escludono affatto riflessione e introspezione, però le modulano al presente, lasciando perdere squisitezze, “eleganze”, “nobiltà”, malinconie asburgiche e arnesi assortiti del secolo passato, per comporre invece un personaggio di tanto più valido in quanto perfettamente riconoscibile come contemporaneo. Stessa cosa per Catherine Carby, un Oktavian perfetto fisicamente (qualità, peraltro, estendibile a ciascun membro grande o piccolo del cast), con un’ottima linea di canto cui quasi neppure si bada, presi com’è dal fluire d’una conversazione musicale tanto naturale e priva d’ogni benché minima affettazione. E stessa cosa per Manfred Hemm, un austriaco di carriera ormai ampiamente consolidata (ha fatto in tempo a cantare anche per Karajan), che – par di sognare! – plasma un Ochs del tutto privo di cincischi, smorfie, affettazioni varie da sempre tristo bagaglio appresso di quasi tutti i bassi impersonanti un ruolo ben altrimenti interessante e sfaccettato di quanto usino renderlo: canta all’austriaca ma recita e fraseggia all’inglese, insomma, all’insegna di quel less is more che dovrebbe essere materia obbligatoria in ogni scuola di canto, dato che sempre più discrimina un artista moderno da un relitto del tempo che fu, non importa se in possesso di materiale vocale privilegiato. Molto bene Emma Pearson (da non confondere con l’attrice inglese Emma Pierson, quantunque sullo stesso livello di bravura scenica), una Sophie dalla singolare somiglianza fisica con Natalie Dessay, che la ricorda nel modo di stare in scena ma un po’ meno nel plasmare la linea vocale, comunque accettabile: sicché tra lei e la Carby, la presentazione della rosa perde il sovrappeso dato dall’eccesso di zucchero e acquista uno stupefatto ma sempre più gioioso esplodere di frizzante sensualità dall’irresistibile comunicativa. Il foltissimo stuolo di caratteristi sono attori uno più bravo dell’altro e cantanti di completa affidabilità, sotto la guida d’un direttore privo di particolari voli, ma capace di estorcere a una più che discreta orchestra un passo che forse potrebbe essere un po’ più lieve e soprattutto più articolato nei diversi piani sonori, ma che comunque racconta e conversa sempre, senza “sedersi” mai.
Elvio Giudici