interpreti V. Urmana, J. Botha, D. Zajick, C. Guelfi, R. Scandiuzzi direttore Daniele Gatti orchestra teatro Metropolitan regia Stephen Pickover regia video Gary Halvorson formato 16:9 sottotitoli Ing., Fr., Ted., Sp., Cin. 2 dvd Decca 0743428
C’è da riflettere, sul ruolo del marketing nella normale pratica teatrale moderna. Una fetta decisiva dei suoi introiti, il Metropolitan di New York – ricordiamoci che negli States non esiste sovvenzione pubblica – la ricava dalle trasmissioni in diretta (in questa stagione ne sono previste undici), con tecnologia digitale audio e video avanzatissime, in un numero di sale cinematografiche che negli States assommano a 713 e in Canada 124, cui si debbono aggiungere quelle nel resto del mondo nonché gli abbonamenti in streaming che pare abbiano superato le trecentomila unità. Il risultato, se è pertanto oltremodo cospicuo in termini economici, è enorme in termini di valore aggiunto di un’immagine già in partenza rilevante. Inoltre, l’operazione produce un materiale tecnologicamente d’avanguardia che può essere con facilità riversato in dvd distribuibili capillarmente ovunque: ogni anno riempiendo e via via saturando un numero sempre più alto di “caselle”, per così dire, e dunque pian piano assumendo posizione se non (ancora) monopolistica, certamente di forza per tutto ciò che concerne gusto scenico, musicale ma un po’anche musicologico ove si rifletta – pensiamo ad esempio a Rossini – al tipo d’edizione scelta e quindi pubblicizzata. In Europa, di iniziative siffatte al momento solo il londinese Covent Garden pare abbia recepito – ma ancora tutt’altro che uguagliato – l’importanza e soprattutto le potenzialità: il resto dei grandi teatri procedendo in ordine sparso, casuale e quindi a forte rischio di rivelarsi perdente.
Ecco dunque una seconda videoregistrazione dell’Aida che al Met è in repertorio dal 1988, quando lo spettacolo di Sonja Frisell prese il posto di quello di John Dexter che molti, tra cui io, ritenevano migliore. Nuove riprese ne esaltano sia l’abilità nella distribuzione dello spazio scenico e dei rapporti cromatici, sia la piena leggibilità della vicenda: che in sé esaurisce ogni altra velleità registica, deputata per intero a occasionali sguardi della Urmana. La quale, oltre a cantare senza confronto meglio rispetto al (bruttissimo) video scaligero sfoggiando una voce capace di coniugare ampiezza, morbidezza, uguaglianza ponendole al servizio d’un fraseggio ovunque interessante, è anche l’unica ad avvicinarsi a un’idea di recitazione. E non è solo questione di stazza, peraltro abnorme nel caso di Botha, ma di totale rinuncia espressiva. Botha è molto famoso, in terra austriaca, per ragioni che non ho mai capito: solo gradevole il timbro, ingolata e faticosa l’emissione, irregolare la linea, non un accento che uno. Guelfi saprebbe cosa dire ma non ha più i mezzi per dirlo, e la Zajick, dopo così tanti anni di così gravoso repertorio, è anche lei al capolinea, né direi possa supplire l’immagine, specie se la si filma a distanza ravvicinata mentre sta sdraiata sul triclinio e pare un tricheco spiaggiato avvolto di veli multicolori. Sicché l’unico reale motivo per ascoltare questo video sta nella direzione di Gatti. L’ampia dilatazione agogica, l’estrema morbidezza del suono, il continuo trasmutare della dinamica, la soffice ancorché maestosa nitidezza dell’articolarsi dei diversi piani sonori: tutto si fonde in pulsione che spinge in avanti una narrazione tesa allo spasimo ma anche aperta in repentine oasi di lancinante melanconia, nella quale il particolare più squisito (certi brividi dell’impalcatura armonica, in specie quelle che hanno i fiati protagonisti, certi colori ora vitrei ora iridescenti ora lattiginosi ora tenebrosi) si coniuga alla globalità d’un arco narrativo di strepitoso effetto teatrale.
di elvio giudici