interpreti B.Haveman, A.Marco-Buhrmeister, B.Fritz, B.Szabo, L.Aghova, F.Farina
direttore Paolo Carignani
orchestra Netherlands Philharmonic
regia Christof Loy
regia video Evita Galanou
formato 16:9
sottotitoli Ing., Fr., Sp., Ol.
2 dvd Opus Arte 1060
Che ogni regista mostri ciò che gli ammiratori chiamano “il suo linguaggio” e i detrattori “i suoi tic”, è norma a teatro sempre reiterata. Quello di Loy è d’ambientare le sue storie in una scatola vuota salvo che per delle sedie. Il risultato, è ovvio, varia, dipendendo però in misura singificativa, a mio avviso, dal tipo di opera: quasi un capolavoro nella Lulu; un disastro nei Vêpres (edizione integrale e con balletto, in francese). I tic: immobilità di gente piazzata sulle sedie laddove la musica si scatena addirittura in tarantelle; ammicchi al pasoliniano Salò coi vincitori che costringono le donne a sfilare a quattro zampe su vetri rotti; con Monfort che sgozza Ninetta sotto al manifesto funebre di Frédéric; con Procida ammazzato alla fine del quart’atto a mezzo di iniezione letale (ma ricompare, si presume come fantasma, nel quinto); per finire, Monfort sgozzato in chiusura di sipario. Tocchi surrealistici o banali, a seconda dei punti di vista: all’inizio, gli occupanti francesi guardano diapositive di Parigi contemporanea; nel second’atto, il coro che canta fuori scena la barcarola entra indossando costumi settecenteschi; l’idea del “ballo in maschera” si rafforza con Monfort che si prepara alla festa vestendo – dietro un paravento con veduta campestre – abiti parrucca e mantello azzurro coi gigli d’oro di Re Sole. Il balletto, come nel celebre Don Carlos di Konwitschny, s’inserisce nella vicenda narrando una storia infantile con protagonisti Henri, Hélène, il di lei fratello Fréderic, intenti a giochi proibiti (con tanto di lei indotta dal fratello a sodomizzare Henri con una baguette sopra il tavolo di cucina) che suppongo dovrebbero spiegare il loro carattere disturbato. C’è pure una decisione da galera, che chiama in causa anche – soprattutto, anzi – il direttore: spostare la Sinfonia in guisa d’intermezzo tra primo e second’atto, solo per mostrarci Monfort pensoso dopo il suo incontro con Henri, seguito da foto segnaletiche animate degli otto personaggi siciliani (ci sono anche Frédéric e sua madre).
Se (ma solo se) tutto questo lo si considera non tanto accettabile – ogni cosa ha da esserlo, in linea di principio, in una regia – quanto utile affinché il mutamento di prospettiva aiuti a comprendere meglio personaggi, ambiente e situazioni: allora, c’è senz’altro da apprezzare una regia che effettivamente è condotta su ogni nota. A me pare che non solo non ci dica granché di utile, ma anzi offuschi parecchio le motivazioni tanto narrative quanto psicologiche; che complichi inutilmente una storia viceversa piuttosto chiara; che renda tutti quanti di singolare antipatia. Non mi è piaciuta per niente. E mi convinco nel sospetto che questo stile, o metodo, o mania, sia una sorta di comodo escamotage per evitare di costruire una regia attendibile e organica attraverso la fatica richiesta dal rispettare le coordinate drammaturgiche della storia originale pur mutando quelle geografiche o epocali: come ormai da parecchio tempo va invece facendo gente seria come gli inglesi, vedi ad esempio Graham Vick o, meglio ancora, David McVicar e Richard Jones.
Aggiungiamoci che Carignani dirige con onesto mestiere una partitura che però richiede qualcosa di più: e che la bravura d’orchestra e coro avrebbe consentito. Che il tenore Burkhard Fritz ha qualche discreto momento allorché può cantare piano (il re naturale della siciliana è un gradevole falsettino), ma gli acuti di forza e le larghe frasi da proiettare sopra la fitta orchestra del quart’atto sono dure, forzate, disuguali. Che il baritono Alejandro Marco-Buhrmester ha un registro superiore dissestato, centri opachi e fraseggio banale. Che il basso Balint Szabo è uno strazio dell’anima appena apre bocca. Che i ruoli di fianco sono pessimi. Che tutti hanno un francese da tregenda. Resta Barbara Haveman: voce solida, sicura a tutte le altezze, musicalissima, interprete eccellente. Meglio che niente, ma non sufficiente.
elvio giudici