interpreti E. Jaho, C. Castronovo, P. Domingo direttore Antonello Manacorda orchestra Covent Garden regia Richard Eyre regia video Ross MacGibbon dvd Opus Arte OA 1292D
Spettacolo stravisto (nasce nel 1994 con Solti e Georghiu), niente di che all’inizio e invecchiato assai male: comprimari e coro recitano molto bene e parlano adesso una lingua che più di allora assomiglia all’italiano, ma che italiana certo non è. Ermonela Jaho proprio con questo spettacolo divenne una beniamina londinese sostituendo a tamburo battente la Netrebko nel 2008: onde ditirambi e turiboli, che personalmente sono assai restio a condividere. Voce bruttarella ma soprattutto di carta velina, con centri opachi e artatamente ingrossati, registro grave di sola aria calda, e acuti a voce piena tiratissimi con costante gradiente di stridio; a tutto ciò cerca di sopperire scialando in assottigliamenti e pianissimi anche là dove sono parecchio incongrui, ma comunque tremuli e ben poco timbrati: sa stare un gran bene in scena, e una parvenza di personaggio sembra esserci (però quanto son brutti e antichi, quegli insistiti e ruffianissimi colpi di tosse all’ultimo atto!), ma è costruito molto dal fisico e ben poco dalla voce. Charles Castronovo recita peggio ma canta con proprietà molto maggiore, a parte taluni evidenti ricorsi alla gola in luogo del fiato. Domingo è Domingo: c’entra poco col baritono verdiano, e niente del tutto con Germont, che accenta con banale sciatteria e frequentissime, ruffianissime strizzate d’occhio al pubblico, e sulla cui scrittura interviene con una concezione a dir poco personale della quadratura ritmica. Cosa, quest’ultima, che ancor più mette in luce l’unica ragione per la quale val la pena ascoltare quest’incisione: la direzione. Manacorda riesce sempre ad “acchiappare” l’ondivago Germont; sostiene mirabilmente Violetta alleggerendo oltre ogni umana idea quando costei si rifugia nei suoi filatini e cercando di coprirne fissità e stridori quando proprio non può fare a meno di cantare a piena voce; stacca tempi di teatralissima logica e incisività, lungo una tensione narrativa varia e incalzante: una grande direzione, insomma, ma che vorrei tanto ascoltare con tutt’altri interpreti.
Elvio Giudici
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