interpreti R. Fleming, J. Calleja, T. Hampson direttore Antonio Pappano orchestra Covent Garden regia Richard Eyre regia video Rhodri Huw formato 16:9 sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp. dvd Opus Arte 1040D
Una delle caratteristiche che nel campo della musica registrata vanno ultimamente infittendosi causa la quasi scomparsa dell’incisione in studio, è che diversi video replicano il medesimo allestimento: in questo caso, lo spettacolo di Eyre già in dvd con protagonista Angela Gheorghiu. Dunque è la Fleming, la ragion d’essere d’una seconda ripresa di questa stessa festona fastosissima al prim’atto, completa di sculture di ghiaccio, vestiti di gran pompa e grandissime circonferenze, gesti visti e stravisti in mille produzioni similari, dal frullo del ventaglio al sedersi con grazia, ai sorrisi stereotipati e per carità soprattutto stile, buon gusto, bel colpo d’occhio; della stessa stanza borghese piena di ritratti al secondo, con identici tocchi bizzarri del pugno sul tavolo di Violetta e sberla di Germont al figlio; stessa tendenza alla beatificazione stile Maria Goretti nella Bibbia e croce che accompagnano gli ultimi istanti di vita di questa nobile dama, e stesso finale ridicolissimo, che viene anzi peggio perché il vorticare in tondo riesce meglio alla Gheorghiu, più giovane e scattante della matronale Fleming. Nell’eventuale – ed espressivamente non troppo esaltante – confronto Gheorghiu-Fleming, propenderei per un match pari: la prima recita meglio, la seconda canta molto meglio, nessuna delle due è una Violetta convincente. Gran dama, la Fleming: molto atteggiata nel porre costantemente in vetrina un lirismo caricato di tutte le bellurie consentite da un timbro ancora luminoso, pieno, ricco d’armonici, ma intrinsecamente placido; una Violetta all’antica, molto più Tebaldi/Sutherland che Callas, tutta sulla linea vocale, troppo suono e troppo poco parola per riuscire davvero espressiva, anche perché via analoga la percorre la gestualità. Linea vocale che però è sempre molto bella e spesso addirittura splendida. Prudente in tutto il prim’atto e prudentissima nella coloratura della cabaletta, prende quota nel secondo: vero è che ogni momento importante viene sottolineato qui con una pausa, là con un’accentuazione consonantica assai vistosa (che nel suo essere apposta dall’esterno lede alquanto la continuità della frase), ma il legato di “Dite alla giovane” è magnifico; la quadratura musicale che governa “Non sapete” è impeccabile, al pari della notevole facilità con cui ne manovra gli ampi intervalli; grande il controllo dell’espandersi di “Amami Alfredo” che disegna un arco l’intensità, ampiezza e fermezza del quale non si trovano precisamente ad ogni cantone. Sostenuta da una direzione impeccabile nell’assecondare in ogni minima sfumatura un così iperlavorato professionismo. Tempi comodi nel prim’atto, veloci fino alla sbrigatività nell’ultimo, dinamica piuttosto schematica: se Pappano non è espressivamente al suo meglio, si dimostra comunque grande professionista come sempre. Calleja canta piuttosto bene quantunque d’accento risaputo al pari di otto Alfredi su dieci. Hampson non si può dire canti tecnicamente male, ma l’accento più che esotico lo definirei alieno, il manierismo esasperato inducendolo ad attaccare quasi a morsi ogni consonante, a calcare in modo grottesco ogni doppia facendola diventare almeno quadrupla, a colorire in modo così artefatto da ogni parola da svellerla dal contesto in un’arlecchinata penosa.
di elvio giudici