Verdi – La traviata

Verdi - La traviata

interpreti M. Petersen, G. Varano, J. Rutherford
 direttore Tecwyn Evans
 orchestra Grazer Philarmoniker
 regia Peter Konwitschny
 regia video Myriam Hoyer
 formato 16:9
 sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp., Cor.
 dvd Arthaus 101587

Nessuna stanza e dunque nessun arredamento purchessia. Solo due sipari rossi posti uno dietro l’altro, a delimitare uno stretto spazio al proscenio dove avviene l’intero primo atto e primo quadro del secondo, in cui unico oggetto è una sedia. Impianto pertanto surrealista, giocato sulle luci ma soprattutto sulla recitazione, dove riesce il miracolo dell’estrema analisi fatta sparire in una sintesi di prodigiosa fluidità. Violetta la vediamo fin dall’inizio non solo “egra foste” ma egra tuttora: centro d’una società pettegola, invidiosa e gossipara che la guarda avida di raccogliere particolari cattivi. Alfredo arriva in maglione sformato, occhiali spessi, libro in mano: pausa eterna prima del brindisi, sguardo alle pagine, impacciatissimo. Violetta lo aiuta prendendogli il libro, quasi difendendolo contro l’irrisione degli altri. Geniale la scena con Germont. Lui arriva con la figlioletta adolescente (treccine, impermeabile, occhiali, borsetta a tracolla) che capisce la situazione e prende le parti di Violetta, trattata malissimo dal padre: del tutto credibile, per una volta, il pronto accondiscendere di Violetta che prende per mano la ragazzina e, nell’attaccare “dite alla giovane”, tira il primo sipario che s’era aperto, chiudendolo sulla speranza che s’era appena dischiusa. Taglio delle zinagarelle e dei toreador, al pari di tutte le riprese: perdita secca, e secondo me neppure necessaria data la genialità d’un regista che potrebbe benissimo inserirle nella vicenda senza la minima perdita della sua straordinaria tensione fatta di gesti, sguardi, atteggiamenti. Konwitschny è uno dei capintesta della corrente registica dinamitarda, quella che – ispirandosi alle teorie sceniche di Brecht – altera la drammaturgia originaria sostituendone un’altra al fine di farne comprendere meglio le ragioni: qui non lo fa. E racconta proprio la stessa storia del libretto: solo depurandola d’ogni inutile accessorio decorativo, in favore d’uno scavo gestuale che riesce portentosamente a chiarire ogni sfumatura psicologica dei tre protagonisti, e contemporaneamente a schizzare il quadro impietoso d’un ordine sociale senza tempo perché senza tempo è l’ipocrisia perbenista, la piccineria morale, la viltà, i pesanti compromessi imposti dal dover vivere costi quel che costi.
Se la parte scenica laurea tutti quali premiabili non con un Oscar ma con due, quella musicale si circoscrive a Marlis Petersen: che debutta Violetta e da subito (bellissima, bravissima, gesto accento colore chiaroscuri, tutto fuso in un ritratto di stupefacente comunicativa) ne è protagonista tra le massime. Giuseppe Varano, Alfredo, e James Rutherford, Germont, sono poveri timbricamente e poverissimi tecnicamente; i comprimari un totale disastro, l’orchestra diretta in modo pesante, plumbeo, senza nessuno degli infiniti colori e chiaroscuri suggeriti da simile regia-capolavoro.

elvio giudici


Prodotti consigliati
306 Novembre 2024
Classic Voice