interpreti B. Terfel, A. Kampe, M. Salminen, M. Jentzsch direttore Alain Altinoglu orchestra Philharmonia Zürich regia Andreas Homoki dvd Dg 004400735173 prezzo 23,70
La distribuzione vocale allestita dal Teatro dell’Opera di Zurigo nel 2013 per tal documento di Diversità e di Sconfitta è up to date di sicuro: Anja Kampe è una prestante Senta che sfrutta con sapienza l’ottima omogeneità dei registri e si destreggia in scena tentando di ricostruire l’immagine di una aliena al mondo della borghesia commerciale guglielmina che le fa da sfondo (la vicenda s’ambienta qui nell’Ottocento); e Bryn Terfel forgia un Olandese smarrito nel gorgo di una condanna terrena cui nulla può opporre se non l’anelito eternamente inappagato alla salvezza. Davvero grande interprete costui, capace di imporre un accento fortemente intriso di tenebra e smarrimento indispensabile a marcarne gli erratici tratti. Al cospetto di due cantanti di tal rango è quasi scontato che il rimanente resti in penombra, né la musica fa molto per aiutarli a uscirne, visto che il cruciale snodo di drammaturgia dell’opera sta nella totale estraneità dei due protagonisti al mondo reale, e insomma a quella “normalità” che distingue invece coloro che della vicenda son destinati a non intendere nulla. Si dice di Matti Salminen, che offre timbro vocale ancora soffice e cordiale al ruolo di Daland, con qualche piccolo affanno ormai in tessitura acuta, e si dice del tenore Marco Jentzsch, il quale fa il suo senza infamia e senza lode per render credibile un personaggio come Erik, che di credibile non ha proprio nulla. Aggiunto che il direttore Alain Altinoglu stimola l’orchestra zurighese a una condotta vigorosa e appropriata in termini di narrazione, qualche parola si spenderà infine sullo spettacolo che ha al suo ponte di comando il regista Andreas Homoki. Siamo in una sorta di elegante magazzino-studio con stampe geografiche e un quadro di mare in tempesta, ove si celebrano, a tutto vedere, gli affari di una solida compagnia di navigazione. Ivi si compie l’intero tragitto dell’opera, quasi a farne il contraltare del precario vivere dei due eroi, i quali a un certo punto risultano come spaesati in tanto burocratico benessere di signori della finanza e dattilografe zelanti. La carica di demonismo che ne sortisce all’apparire dell’Olandese è, negli intenti della regia, la cartina di tornasole del dramma; e quella Senta che, ormai sparito il suo Olandese, cade di schianto come folgorata da forze immani, ne vuole essere il simbolo e insieme l’embolo. Nulla che faccia gridare al miracolo ma si può apprezzare.
Aldo Nicastro