interpreti Peter Seiffert, Georg Zeppenfeld, Vitalij Kovaljov, Anja Harteros, Anja Kampe, Christa Mayer direttore Christian Thielemann orchestra Staatskapelle Dresden regia Vera Nemirova regia video Tiziano Mancini sottotitoli Ger, Eng, Fra, Esp, Ita, Kor, Jap. 2 dvd C Major 742808 prezzo 33,20
È ora disponibile il video della Walkiria rappresentata la primavera scorsa al Festival di Pasqua di Salisburgo. Si tratta dello spettacolo che intendeva commemorare il 50° anniversario del prestigioso festival creato da Herbert von Karajan appunto nel 1967, quando il direttore salisburghese rappresentò la prima giornata dell’Anello del Nibelungo wagneriano.
Di quella edizione, che la stampa dell’epoca salutò come “storica” prima ancora che potesse diventarlo, Karajan non curò solo l’esecuzione a capo dei suoi Filarmonici berlinesi (di cui purtroppo non esistono tracce “ufficiali”) ma firmò anche la regia avvalendosi delle scene e dei costumi di Günther Schneider-Siemssen. Lo spettacolo è stato ora affidato alle cure di Vera Nemirova, la quale ha fatto ricostruire le scene originali mentre ha disegnato un set di costumi del tutto nuovo, tale da comunicare al pubblico l’idea dei personaggi wagneriani come uomini e donne del giorno d’oggi.
Oggi tale messinscena ha il sapore del modernariato. All’epoca dovette sembrare però del tutto nuova. Basti ricordare che andò in scena in un’epoca in cui l’arcivescovo di Salisburgo, erede di quella tradizione pedante di cui conosce l’origine chi abbia mai letto una qualunque biografia mozartiana, protestò veemente per il fatto che nella settimana di Pasqua si celebrasse il rito degli dèi pagani; che l’anno prima una navicella spaziale era atterrata sulla luna e che, due anni dopo, vi sarebbe atterrato anche il primo uomo; che il Ring non aveva ancora tagliato il traguardo del primo centenario e che gli allestimenti wagneriani non erano ancora entrati nella fase del Regietheater e dei Dramaturg ma pagavano ancora dazio, salvo geniali, visionarie eccezioni, a quella vecchia tradizione illustrativa di cui v’è ancora traccia nelle figurine Liebig.
Un palcoscenico nudo, abitato da scarni oggetti simbolici (il frassino come casa di Sieglinde nel primo atto, un ampio anello a forma di disco spaziale nel secondo e nel terzo), un sapiente uso psicologico delle luci, una recitazione statica, che non indulge più che tanto nei tic della gestualità operistica: queste erano le coordinate di quella messinscena che, resa probabilmente più stilizzata oggi da Vera Nemirova, incontrò il favore della critica d’allora.
Memore del modello di Karajan, come confermano le dichiarazioni rese da Thielemann in occasione delle due recite del 2017, è invece l’esecuzione di quest’ultimo, che del resto è sempre stato salutato (seppur a volte un po’ frettolosamente), specie dalla critica tedesca, come l’erede del sommo direttore scomparso nel 1989. E ciò si rende ben manifesto a chi conosca il tanto Wagner eseguito e inciso da Thielemann in questi ultimi anni. Si tratta infatti di una lettura più “cameristica” delle sue altre, che tenta di ricreare quel suono insieme pastoso e trasparente per il quale Karajan viene sempre ricordato. In certi momenti, e soprattutto nelle scene più desolate del secondo atto, a partire dal monologo di Wotan, il teorema funziona perfettamente. Meno invece laddove la partitura sembra richiedere più slancio lirico o più massa sonora: in altre parole, quando Thielemann sfrutta solo in parte i mille cavalli della sua formidabile Staatskapelle Dresden.
Si sta parlando in ogni caso di un’esecuzione di alto livello, che nemmeno i punti più deboli del cast riescono a rendere meno affascinante. Il riferimento è al Siegmund di Peter Seiffert, che si regge sulla propria esperienza ben più che su una voce ormai un po’ stanca, e alla Brünnhilde di Anja Kampe, bravissima interprete che fatica però davvero un po’ troppo quando Wagner la costringe lassù. Pienamente convincenti risultano invece il Wotan di Vitalij Kovaljov, lo Hunding di Georg Zeppenfeld e soprattutto la Sieglinde di una Anja Harteros assai più vivace, per temperamento e incisività, di come la si ascolta solitamente, mentre Christa Mayer è una Fricka un po’ pallida.
Enrico Girardi